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Iran, l’incubo dell’instabilità

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Il 2012 per la Repubblica islamica degli ayatollah non si annuncia un anno felice. Anzi, nere nuvole di tempesta che provengono dall’interno e dall’esterno del Paese già si stanno addensando. All’interno, il braccio di ferro tra Guida suprema, popolo della “primavera” 2009 e il presidente Ahmadinejad, a meno di accadimenti straordinari, si sta facendo sempre più tosto. All’esterno, il rapporto annuale dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’enegia atomica) reso noto il 7 novembre scorso, è riuscito a liberarsi delle molte ambiguità mostrate sotto la direzione di al-Baradei, ed è stato sufficientemente esplicito nell’affermare che vi sono tutti gli indizi che l’Iran stia rapidamente avvicinandosi al nucleare militare.
 
Ciò preoccupa il mondo, ma soprattutto pone sotto forte imbarazzo la presidenza Obama, che in clima pre-elettorale, come è risultato nel vertice di Honolulu, sta decisamente orientando la propria politica sempre più a est, tanto da far proclamare gli Stati Uniti come “potenza del Pacifico”, capace di fare da contrappeso economico alla Cina. In questo quadro, sembrerà forse un paradosso affermare che sino a qualche tempo fa l’Iran, nel mosaico del Medio Oriente, tutto sommato rappresentava un elemento di stabilità. Nel senso che era una realtà nota, un parametro fisso di cui tener conto nel bene e nel male, e così è stato a lungo, con alterne vicende. L’Iran era questo, non altro, e ciò consentiva un minimo di affidabilità anche nei flussi commerciali, almeno per quanto non rientrava nelle sanzioni. Oggi l’Iran continua ad esserci, ma non è più lo stesso. Né si capisce bene cosa sia, dove vada e come stia evolvendo la sua realtà. L’Iran del 2012, quindi, ancora non lo conosciamo, ma potremmo dedurlo dalle linee di tendenza.
 
La differenza la fa il presidente Mahmud Ahmadinejad, e non gli ayatollah: figlio di un fabbro, nel 2005 diviene presidente della Repubblica islamica con il 62% dei voti di un 55% di votanti. Nel ballottaggio prevale sul riformista ayatollah Rafsanjani, ripromettendosi di ripristinare i severi principi che avevano ispirato Khomeini. “Non abbiamo certo abbattuto l’impero per instaurare la democrazia – aveva detto nel discorso inaugurale – ma per riportare il Paese al rispetto integrale della legge”. Quella islamica, la sharia. Contestata la rielezione nel 2009, con moti di piazza e duro braccio di ferro con altri concorrenti, tra i quali il più noto in occidente è Hossein Mousavi che, pur essendo un islamista della prima ora, qui da noi passava per riformista moderato.
 
Da questo momento, l’evoluzione della condotta di Ahmadinejad è stata sempre più autoritaria e repressiva all’interno, ed aggressiva verso l’esterno. Ora il Paese è isolato, e ciò è fonte di preoccupazione per gli stessi ayatollah, tanto che da tempo è in atto un feroce contenzioso tra il presidente e la guida suprema Alì Khamenei, che sembra al momento prevalere. Attorno ad Ahmadinejad è stata fatta terra bruciata, senza esclusione di colpi. Indicativo è stato l’arresto, all’inizio di maggio, del capo di gabinetto e genero del presidente, Esfandiar Mashaie, incarcerato con l’accusa di stregoneria, come risposta alla destituzione, nell’aprile scorso, del ministro dell’Intelligence Heidar Moslehi, ritenuto troppo vicino a Khamenei. Persino i pasdaran, che periodicamente usano annunciare di avere collaudato nuovi missili a lunga gittata, stavano voltando la faccia a un presidente che aveva anche il Parlamento apertamente contro, tanto da costringerlo, nel maggio scorso, a rinunciare alla velleitaria assunzione della carica di ministro del Petrolio. D’altro canto, l’“islam senza clero” di Ahmadinejad non è mai piaciuto nemmeno al popolo minuto, che ha molto manifestato nelle piazze contro le repressioni del presidente, senza però mai mettere in discussione lo Stato teocratico degli ayatollah.
 
L’Iran del 2012 sarà un misto di tutto questo, con la complicazione grave del rapporto dell’Aiea, che può avere un effetto a doppio taglio. Nel senso che potrebbe rafforzare il regime o portarlo al collasso, attraverso sanzioni ancora più severe – quelle sull’embargo del greggio, ad esempio, visto che l’economia non è mai stata diversificata – o addirittura a causa dell’attacco alle centrali nucleari, di cui si parla da sempre e sempre più insistentemente, ma che al momento, considerata la tenaglia elettorale nella quale si dibatte Barak Obama, non sembra ancora maturo. Gli analisti, tuttavia, sono convinti che Israele abbia sufficiente capacità operativa per procedere anche senza aiuto esterno. Certo è che ora sono in molti a pensare che Netanyahu avesse ragione quando riteneva i rapporti dell’Aiea una mistificazione di un el-Baradei “agente iraniano”, ed il mondo, pur preoccupato di una possibile escalation, mostra assai meno avversione di un tempo per un ridimensionamento manu militari del potenziale nucleare iraniano. Soprattutto quando un israeliano moderato ed ovunque apprezzato come il premio Nobel per la pace Shimon Perez afferma a tutto tondo “che l’azione militare nei confronti dell’Iran da parte di Israele e di altri Paesi sembra ora avvicinarsi, mentre le possibilità di un’azione diplomatica si stanno allontanando”. Nel senso opposto, una minaccia credibile ai siti di produzione potrebbe comportare lo svantaggio, per l’occidente, di una ricompattazione della solidarietà interna iraniana, allontanando i tempi di una possibile implosione del regime.
 
L’attacco, con ogni probabilità, non si farà, per lo meno non subito. Quello che è certo è che in questi termini il Paese rischia di rimanere instabile, e quindi imprevedibile anche per tutto il 2012. Un primo chiarimento potrà avvenire con l’esito delle elezioni presidenziali Usa nel 2012, ma quello definitivo non è atteso prima delle elezioni presidenziali nella Repubblica islamica, previste nel 2013.


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