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Tutelare i settori critici e promuovere la cultura degli investimenti in sicurezza. Cosa farà la Fondazione Praexidia

La Fondazione Praexidia ha aperto il suo percorso con un primo convegno pubblico dedicato alla tutela dei settori industriali strategici italiani, tra cui difesa, aerospazio, energia e biotecnologie. Tra Golden Power, sicurezza delle supply chain, innovazione e resilienza industriale, il dibattito ha evidenziato l’urgenza di un cambio di paradigma per garantire la competitività e la tutela del tessuto industriale nazionale

La sicurezza economica e industriale italiana passa oggi per la tutela dei settori strategici e da una gestione più consapevole delle tecnologie critiche. La pandemia e la guerra in Ucraina hanno cambiato la percezione della sicurezza e della resilienza industriale, e oggi il nascente multipolarismo impone di rivedere persino alcuni vecchi capisaldi dell’economia globalizzata. Basti vedere oltreoceano, dove il governo degli Stati Uniti sta nettamente aumentando il proprio intervento nell’economia per rilanciare le sue industrie strategiche. Ciò riguarda anche l’Italia, che già con la normativa sul Golden Power aveva posto le basi per una tutela delle attività economiche nazionali. Questi i temi al centro del primo evento pubblico della Fondazione Praexidia, realtà privata con l’obiettivo di tutelare i settori critici dell’economia della sicurezza nazionale fungendo da aggregatore tra imprese e investitori.

Secondo il primo studio promosso dalla Fondazione, dedicato proprio al presidio dei settori strategici e al Golden Power, negli ultimi vent’anni oltre il 65% delle operazioni che hanno riguardato imprese italiane attive in ambiti ad alta valenza strategica è stato realizzato da soggetti esteri. Si tratta in larga parte di operazioni nei settori difesa, aerospazio, energia, infrastrutture digitali e biotech, comparti che rappresentano il cuore della sovranità tecnologica europea. L’Italia avrebbe dunque “perso” la paternità di molte attività e industrie. Come ha sottolineato Pierluigi Paracchi, presidente della Fondazione, “quando questo discorso riguarda la moda, è certamente un peccato. Tuttavia, se parliamo ad esempio di cyber, si tratta di una questione di sicurezza nazionale”.

Praexidia, nata su impulso di un gruppo di imprenditori e di figure del mondo della difesa per “rafforzare la consapevolezza strategica del sistema produttivo”, punta quindi a farsi promotrice di uno spazio di confronto permanente tra istituzioni, industria e finanza per tutelare e far crescere i campioni nazionali. “La nostra ambizione”, spiegano, “è stimolare un’attenzione costante sui settori strategici e promuovere strumenti di protezione e sviluppo in linea con i partner euro-atlantici”.

Il quadro richiede un approccio industriale rapido e flessibile. L’industria della difesa italiana, pur strategica, è sempre stata caratterizzata dalla ripartizione tra grandi contractor e piccoli attori, che rappresentano ancora l’80% del tessuto produttivo nazionale. Per tutelare l’indipendenza di queste realtà e rafforzare al contempo la posizione dei campioni nazionali, gli sforzi dovranno incentrarsi sulla messa in sicurezza delle supply chain. Come ha sottolineato il sottosegretario alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago, “per essere protagonisti dobbiamo fare i compiti a casa”. Vale a dire che l’industria deve snellire i processi per venire incontro più agevolmente alle esigenze delle Forze armate, mentre il mondo degli investitori deve uscire dal paradigma, tutto italiano, che rifiuta il rischio di fallimento. Tuttavia, sono proprio i fallimenti, e le lezioni che da essi si possono trarre, ad aver creato giganti come SpaceX. Perego, non a caso, cita l’esempio della Defense innovation unit (Diu) statunitense, organismo interno al Pentagono il cui compito è facilitare l’incontro tra le idee e i capitali necessari per svilupparle. In tale contesto, come ricorda il sottosegretario, la mentalità del fallimento propedeutico non è solo adottata, ma riconosciuta come elemento imprescindibile per mantenere la superiorità tecnologica.

Come evidenziato dal deputato Giulio Centemero, in Italia mancano aggregatori simili a quelli presenti nei Paesi anglosassoni, capaci di “favorire gli investimenti e preservare allo stesso tempo gli asset strategici”. Un vuoto che la Fondazione Praexidia mira a colmare, promuovendo una maggiore consapevolezza e mettendo in campo strumenti per attrarre capitale senza sacrificare la sovranità tecnologica.

Lucio Caracciolo, direttore di Limes, ha osservato come persino gli Stati Uniti si trovino a gestire difficoltà industriali e logistiche, al punto da ridurre le forniture di munizionamento a Kyiv per non svuotare gli stock interni. Il combinato disposto tra calo degli investimenti, mancanza di manodopera qualificata e il focus strategico su un possibile conflitto convenzionale nell’Indo-Pacifico ci restituiscono oggi degli Usa in affanno nel tentativo di rilanciare la produzione interna, in special modo quella bellica. Nelle parole di Caracciolo, “È un’epoca storica in cui la deterrenza americana è ridotta ai minimi termini”. Tuttavia, proprio questa crisi della manodopera statunitense potrebbe rappresentare un inaspettato elemento di complementarietà con l’industria italiana. Infatti, sottolinea Caracciolo, laddove l’Italia manca di capitali e filosofia del rischio, conserva ancora oggi un bacino di competenze e manodopera specializzati tra i migliori in Occidente. Insomma, il tipo di collaborazione naturale che può instaurarsi tra chi ha il pane e chi ha i denti.

Tuttavia, la competitività delle aziende italiane, ha ricordato Giulia Pastorella, membro della Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni, non può basarsi solo sulla difesa passiva delle filiere. Occorre anche digitalizzare, diversificare il rischio e rafforzare la produttività. “Se ci chiudono un datacenter, non ci si deve bloccare l’intero Paese”, ha spiegato, ricordando che il reshoring o il friend-shoring – cioè localizzare produzioni in Paesi amici – rappresentano strumenti concreti per proteggere le catene del valore. L’obiettivo, specialmente in un momento in cui i dazi stanno mettendo in crisi il commercio globale, è attrarre investitori esteri senza perdere il controllo sulle tecnologie strategiche, puntando su tre pilastri fondamentali: produttività, competitività e innovazione.

Il ragionamento si estende al livello finanziario. Alessandro Aresu ha sottolineato che l’Italia deve misurarsi non soltanto sulla capacità industriale, ma anche sulla propria infrastruttura di capitale e con la propria consapevolezza finanziaria. “Siamo in un’epoca in cui questi rischi vanno misurati”, ha osservato, citando il caso dei semiconduttori NXP e della loro produzione in Cina, che ha mostrato come la vulnerabilità industriale possa anche essere conseguenza di scelte di filiera poco lungimiranti. Per Aresu, il futuro dipenderà “da come riusciremo ad aumentare la consapevolezza e la capacità di azione del sistema finanziario su questi temi”.

“Ogni giorno perso riduce le nostre possibilità”, ha avvertito Giuseppe Orsi, già amministratore delegato di Finmeccanica-Leonardo e AgustaWestland. Come sottolineato da Orsi, la Fondazione ha tra i suoi obiettivi quello di rafforzare il perimetro delle Pmi che, di fatto, supportano l’azione dei campioni nazionali del settore. Senza catene di fornitura sicure e garantite, le stesse Leonardo e Fincantieri rischierebbero di presentarsi ai tavoli internazionali ed europei con fondamenta fragili. Tramite questa “messa in sicurezza” delle filiere, dunque, non si tutela solo il tessuto economico nazionale, ma si rafforza la posizione del Paese all’esterno.

Anche il generale Luca Goretti, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e membro del Cda della Fondazione, ha richiamato l’urgenza di un cambio di paradigma. “Per anni abbiamo assistito a una guerra tra le industrie nazionali in Europa, dimenticando che il mondo stava cambiando”. 

La sfida della Fondazione Praexidia non è semplice: importare in Italia un modello mutuato dai Paesi anglosassoni comporta rischi e opportunità. Se riuscirà, potrebbe diventare un caso unico nel panorama europeo. Per ora, ha già il merito di aver rilanciato un dibattito di cui si sentiva il bisogno, necessario per comprendere la nuova nuova sicurezza del 21esimo secolo.


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