“Meloni ha spiazzato tutti i detrattori con una posizione pragmatica nei fronti di crisi e fortemente improntata a un occidentalismo non ricurvo su se stesso, ma autorevole e identitario”. Conversazione con l’esperto diplomatico Gabriele Checchia, a tre anni dalla nascita del governo Meloni. Un bilancio sulla sua politica estera e la postura internazionale di Roma
L’atlantismo della presidente del Consiglio è positivo perché l’Italia e l’Ue devono restare centrali nel rapporto con l’Alleanza Atlantica, inoltre la difesa europea deve sforzarsi di essere al contempo complementare e non alternativa rispetto a quella della Nato. È questo uno dei passaggi della lunga e articolata analisi che l’ambasciatore Gabriele Checchia affida a Formiche.net a proposito dei tre anni in politica estera del governo di Giorgia Meloni. L’esperto diplomatico, già ambasciatore in Libano, presso la Nato, vicedirettore dell’Unità Russia e Paesi dell’area ex-sovietica alla Direzione Generale Affari Politici e Consigliere Diplomatico di vari ministri, ritiene che il vero jolly sia da ritrovare nell’unità di intenti e di visioni tra Palazzo Chigi e la Farnesina, a dimostrazione della volontà politica di essere soggetto autorevole e riconosciuto sul piano internazionale, e soggetto propositivo che si fa regista in aree cruciali come l’Indopacifico, il Mediterraneo, il Medio oriente.
In tre anni al governo, come Giorgia Meloni ha cambiato le politiche italiane in Ue (nel rapporto diverso con commissione e stati membri) e nel Mediterraneo (con il piano Mattei)?
Le previsioni che si facevano alla vigilia della costituzione del governo Meloni, di un’Italia che si sarebbe trovata isolata in Europa e messa ai margini perché sovranista, antieuropea ed euroscettica sono state smentite dai fatti e devo dire che un segnale importante in questo senso lo registro nell’editoriale del senatore Monti, apparso oggi sul Corriere della Sera. Riconosce esplicitamente che con il governo Meroni l’autorevolezza italiana sulla scena internazionale è cresciuta, in aggiunta ai giudizi positivi delle agenzie di rating di notazione sulle ultime tre finanziarie che danno conto anche di un rispetto dei parametri comunitari per quanto riguarda le leggi di bilancio. Quindi direi che c’è un’Italia più assertiva, attenta alla tutela dei propri interessi, nel segno di un europeismo realistico, come fanno del resto i grandi paesi europei.
Ue e Nato sono due pilastri della politica estera italiana: in che modo il governo li ha rafforzati?
L’atlantismo della presidente del Consiglio è positivo perché l’Italia e l’Ue devono restare centrali nel rapporto con l’Alleanza Atlantica e in questo senso la premier italiano le valorizza in modo oggettivo, inoltre la difesa europea deve sforzarsi di essere al contempo complementare e non alternativa rispetto a quella posta in essere dalla Nato. Riscontro una forte complementarietà che Meloni ravvisa tra la nostra adesione all’Unione europea e la nostra adesione alla Nato, tutto questo sotto il cappello di quello che lei definisce Occidente. Quindi direi che per Giorgia Meloni e per il suo governo l’appartenenza all’Unione europea è superata dall’appartenenza all’Occidente anche come sistema di valori, il che implica una forte e perdurante relazione col nostro grande alleato di oltreoceano, vale a dire gli Stati Uniti. Quando Giorgia Meloni parla di Occidente credo che abbia in mente anche una dimensione valoriale, come presa di distanza da una visione europea che per molti invece è tecnocratica e priva d’anima. Quindi si vuole dissociare da questo europeismo basato sulle regole per salire a un livello superiore.
Ovvero?
Lo dimostra anche la posizione netta adottata sulla revisione della normativa climatica promuovendo un green deal che non sia ideologico ma rispettoso di tutte le tecnologie che effettivamente consentano di ridurre le emissioni, ma senza sacrificare però con accelerazioni ideologiche il motore endotermico. Il secondo elemento è un’Europa declinata nella dimensione occidentale: Meloni è riuscita a stabilire un’ottima relazione con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen come dimostra il ruolo apicale che è riuscito a ottenere per il nostro Raffaele Fitto. Qui mi piace ricordare l’impegno comune di Meloni e von der Leyen, per esempio, sul terreno del contrasto all’immigrazione illegale, come il viaggio in Tunisia e il memorandum importante firmato con Tunisi. In quella occasione la visita congiunta fu fatta che con l’allora premier olandese Mark Rutte, attuale segretario generale della Nato per dire: “Siamo qui come squadra europea”. Meloni ha saputo a mio avviso, trovare il punto di equilibrio tra un europeismo che non sia in contraddizione con la tutela degli interessi nazionali e con una visione dell’Europa che vada al di là delle tecnocrazie brussellese.
Tre le aree strategiche dove l’Italia è operativa: Africa, Balcani e Mediterraneo. Che cosa ha rappresentato il piano Mattei?
Uno dei grandi asset di questo esecutivo è la sintonia tra la presidente del Consiglio, assistita da eccellenti consiglieri, due colleghi e amici come Francesco Talò e il suo successore Fabrizio Saggio, e il ministro Tajani, che si esprimono con voci univoche sulla grande maggioranza dei dossier. Voglio anche apprezzare il ruolo importante del ministro Crosetto sui grandi dossier internazionali che mi sembra sia un punto di forza, al pari di quello del ministro Urso. Una premessa per snocciolare tutti i temi. Nei Balcani riunificati si può rafforzare la costruzione europea nel suo complesso, avvicinando Paesi che per secoli sono stati parte dell’Europa storica dalla Serbia alla Croazia, alla stessa Albania. E dall’altro si può declinare questa riunificazione balcanica sul versante dei rapporti bilaterali crescenti e sempre più produttivi che si stanno sviluppando tra questi Paesi e l’Italia. Basti ricordare, e mi limito a questo, il rapporto egregio che Giorgia Meloni ha stabilito con il primo ministro albanese è di Rama, pur appartenente a una famiglia politica ben diversa. Abbiamo ospitato a Roma riunioni a livelli alti elevati con i primi ministri e ministri degli esteri di quei Paesi con sempre accanto dei forum imprenditoriali, proprio perché questo riavvicinamento dei Balcani occidentali all’Unione europea apre anche prospettive molto importanti per le nostre imprese. In quei Paesi e nei Balcani occidentali c’è un’oggettiva richiesta di Italia. In secondo luogo il Piano Mattei incarna la nostra attenzione al continente africano, che è ampiamente giustificata dalle considerazioni geopolitiche, oltre che da considerazioni di natura economica.
In quali misure?
L’Africa da anni è un terreno di conquista della invasività cinese. Sicuramente questo nostro ruolo di contenimento anche della invasività cinese è ben visto dagli Stati Uniti, ma non vuol dire questo che noi cerchiamo lo scontro con la Cina, tutt’altro. Si tratta però di delimitare il terreno di gioco. Per non parlare poi delle risorse di natura energetica e tutte le missioni che Giorgia Meloni ha compiuto nel continente africano così come le ha compiute il ministro Tajani, ma anche il ministro Crosetto sul versante difesa. Tutto questo aiuta a consolidare l’immagine di un’Italia partner autorevole e credibile, fortemente interessato alla crescita dell’Africa e soprattutto della formazione delle giovani generazioni africane. L’obiettivo è di creare una classe media africana con giovani motivati, interessati al rapporto con l’Occidente e con l’Europa in particolare. Il Piano Mattei contiene tante aree di azione, ma sicuramente, come è stato rilevato recentemente anche dal viceministro degli Esteri Cirielli, un accento particolare viene posto sullo sviluppo della persona in termini culturali e, appunto di adesione ai nostri valori nel rispetto delle tradizioni africane. Quindi non c’è certo nel Piano Mattei una dimensione predatoria anzi. La presidente Meloni ogni volta ribadisce che il Piano Mattei non contiene alcuna dimensione predatoria o neocoloniale, tutt’altro. Vogliamo invece porci come un interlocutore paritario con i Paesi africani per crescere insieme e aiutarli nella crescita delle loro nuove classi dirigenti, anche attraverso importanti investimenti nel settore universitario, con corsi di laurea promossi da Facoltà italiane di primo ordine in Paesi africani e l’apertura di numerose borse di studio per giovani africani meritevoli nelle migliori università italiane. Quindi questo è un valore aggiunto del piano Mattei. Che si chiami Piano Mattei non è un caso perché richiama proprio quella collaborazione paritaria con i partner africani che lanciò negli anni 50 e 60 Enrico Mattei. Senza dimenticare la progettualità interconnessa, come la Global gateway dell’Unione europea il corridoio regionale Lobito per 830 chilometri di infrastrutture dall’Angola allo Zambia, il supporto allo sviluppo digitale africano e la creazione dell’Hub per l’intelligenza artificiale a Roma.
Per la prima volta nella storia del nostro Paese un governo è molto attivo in due aree strategiche l’Asia centrale e l’America Latina. Entrambe stanno immaginando di camminare anche lontano dalle influenze russe, soprattutto dall’Asia centrale.
Conferma la visione ampia di questo governo che non insegue i dossier ma inserisce le iniziative di politica estera in una visione complessiva, che è quella della crescita del peso internazionale dell’Italia e della ricerca di tutti i terreni che possono favorire il nostro rapporto con gli Stati Uniti. Non è un caso che il Presidente Mattarella abbia di recente ha ricevuto a Roma il suo omologo turkmeno. E le missioni ripetute che lo stesso Presidente Mattarella ha compiuto in Asia centrale da ultimo ad Astana e in Azerbaigian, oltre al forum nel formato uno più cinque Italia e più i cinque paesi dell’Asia centrale Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Quindi una visione complessiva dei nostri interessi nella regione, interessi che toccano tante direttrici di cooperazione, energia, materie prime critiche e gestione sostenibile delle risorse idriche. Sicurezza, con particolare riferimento alla lotta al terrorismo e al traffico di droga, connettività, cooperazione economica. Perché tutto questo? Perché l’Asia centrale è una sorta di regione chiave, uno snodo tra l’Oriente e l’Occidente. E per noi è importante perché da un lato appoggiarla aiuta le dinamiche che quei Paesi stanno ricercando di nuove alleanze in chiave euromediterranea, anche in un’ottica di sganciamento dalla vecchia Russia. L’Italia ha un’opportunità di assoluto rilievo, siamo un Paese e ci ritagliamo spazi per noi fondamentali alla voce interconnessioni e reti trasportistiche.
Italia e Stati Uniti: Giorgia Meloni ha avuto un buon rapporto con l’amministrazione Biden e ne sta avendo uno eccellente con l’amministrazione Trump. Nel mezzo una convenzione comune: Ue e Usa devono restare unite, mentre qualcuno vorrebbe dividerle. Che ne pensa?
Lo spirito atlantista del governo Meloni è una delle cifre dell’esecutivo da lei guidato ed è molto positivo che sia riuscita ad ottenere un ruolo di primo piano nel dialogo con gli Stati Uniti, andando al di là delle appartenenze partitiche: Meloni è ponte tra Italia, quindi Occidente, Europa e Stati Uniti. Un fatto, questo, oggettivo. In questo senso ha portato risultati concreti su tanti tavoli che stanno a cuore agli Stati Uniti e all’Occidente nel suo complesso, primo tra tutti l’impegno che noi condividiamo di accrescere le spese per la difesa in ambito Nato, poi il sostegno indefesso alla sovranità ucraina aggredita dalla Russia di Putin e il ruolo chiave che possiamo svolgere nel Mediterraneo. Dio solo sa quanto questo è importante anche per gli Stati Uniti, in un’ottica di stabilizzazione del Medio Oriente, che è quello l’obiettivo che sta perseguendo il presidente Trump. Il riconoscimento di questo peso specifico lo ritrovo anche nella decisione del presidente americano, come riportano alcune voci, di affidare a Meloni il compito di mediatrice con l’Iran nel dossier nucleare.
















