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Usa-Cina, disgelo iniziato. I mercati ringraziano ma le incognite restano. L’analisi di Speranzon

“L’Europa è il terzo grande attore in questa partita e beneficia di ogni riduzione delle tensioni commerciali. Una tregua tra Usa e Cina può stabilizzare i flussi globali, ridurre i costi energetici e dare respiro alle nostre esportazioni. Tuttavia, l’Ue deve approfittare di questa finestra per affrontare le proprie fragilità strutturali”. Conversazione con Raffaele Speranzon, membro della Commissione Esteri e Difesa

L’incontro fra Trump e Xi riduce l’incertezza geopolitica che pesava sui titoli tecnologici e sul commercio globale. Gli investitori leggono il vertice come una pausa di riflessione tra due giganti che sanno quanto la tensione li danneggi entrambi. Tuttavia, le cause strutturali del confronto restano. Ne è convinto il senatore di Fratelli d’Italia, Raffaele Speranzon, membro della Commissione esteri/difesa che affida a Formiche.net una riflessione articolata dopo il vertice tra i leader di Stati Uniti e Cina.

Dopo il vertice Trump-Xi come può cambiare la relazione tra i due Paesi?

Il vertice segna una distensione tattica, non una svolta strategica. Stati Uniti e Cina restano potenze in competizione sistemica su più fronti: dal Mar Cinese Meridionale a Taiwan, dalla penetrazione economica di Pechino in Africa, al primato tecnologico e al controllo delle catene globali del valore. Entrambe, tuttavia, hanno interesse a evitare un’escalation che danneggerebbe le rispettive economie. Trump mi pare punti a rassicurare i mercati e mostrare forza negoziale; Xi cerca tempo e stabilità in una fase in cui l’economia cinese rallenta. L’annuncio di una visita di Trump in Cina ad aprile, seguita da una visita di Xi negli Stati Uniti, conferma la volontà di mantenere aperto il canale di dialogo e magari anche di rafforzarlo. Possiamo quindi sicuramente parlare di un momentaneo disgelo, ma non so se porterà ad un riavvicinamento vero e proprio: la rivalità strategica resta intatta.

È stata solo tattica o ci sono risultati concreti su Fentanyl e terre rare?

Ci sono segnali concreti, ma ancora fragili. Sulla lotta al Fentanyl, una vera piaga per gli Stati Uniti, dove l’epidemia di oppioidi sintetici causa decine di migliaia di morti ogni anno, Pechino ha accettato di rafforzare i controlli sui precursori chimici utilizzati nella produzione, molti dei quali provengono proprio dalla Cina. È un gesto che Washington accoglie con favore, ma che poi dovrà essere verificato nei fatti. Sul fronte delle terre rare, Xi ha promesso che Pechino non userà le esportazioni come arma politica, un segnale di distensione importante ma reversibile, legato al clima complessivo dei rapporti bilaterali.

I mercati dei capitali possono tirare un sospiro di sollievo dopo questo incontro?

Sì, almeno nel breve periodo. L’incontro riduce l’incertezza geopolitica che pesava sui titoli tecnologici e sul commercio globale. Gli investitori leggono il vertice come una pausa di riflessione tra due giganti che sanno quanto la tensione li danneggi entrambi. Tuttavia, le cause strutturali del confronto restano: non solo la corsa alla leadership tecnologica e ai semiconduttori, ma anche la cronica bilancia commerciale negativa degli Stati Uniti nei confronti della Cina, che continua a rappresentare per Washington un problema politico e simbolico. Sollievo temporaneo, dunque, ma non fine delle turbolenze.

In che misura l’Ue può giovarsi di una tregua tra Washington e Pechino?

Molto. L’Europa è il terzo grande attore in questa partita e beneficia di ogni riduzione delle tensioni commerciali. Una tregua tra Usa e Cina può stabilizzare i flussi globali, ridurre i costi energetici e dare respiro alle nostre esportazioni. Tuttavia, l’Ue deve approfittare di questa finestra per affrontare le proprie fragilità strutturali: accorciare le catene di fornitura per ridurre la dipendenza da Pechino (lezione chiara del Covid), colmare il divario tecnologico con i giganti globali e puntare all’autosufficienza energetica. In sintesi: una tregua fra altri non basta. Serve una strategia europea per non essere il terreno di gioco ma uno dei giocatori.

Non solo dazi: la Cina è notoriamente sostenitrice della Russia. I due leader avranno anche parlato di Ucraina?

Sicuramente. Trump sa che il ruolo di Pechino è determinante per esercitare pressione su Mosca. Xi, invece, utilizza il dossier ucraino per presentarsi come interlocutore globale alternativo all’Occidente e per rafforzare l’immagine della Cina come potenza responsabile. Secondo quanto emerso, i due leader hanno concordato di “lavorare insieme” sulla questione ucraina, mentre il delicato tema di Taiwan, molto più sensibile nei rapporti bilaterali, non è stato affrontato. Interessante anche la scelta di Xi di elogiare Trump per l’accordo raggiunto a Gaza: un riconoscimento che conferma la rilevanza internazionale di quell’intesa e ne sancisce la legittimità anche agli occhi di Paesi non allineati con Washington o con Israele.


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