La biografia di lei e del marito è la carta geografica di una nuova New York: Uganda, India, Sudafrica e Queens per lui. Houston, Damasco, Dubai e Brooklyn per lei. Una coppia che incarna il meticciato cosmico della città e che porta al potere un immaginario completamente diverso: meno Wall Street, più strada. Il commento di Roberto Arditti
Ha 28 anni, è un’artista e illustratrice con committenze tra le più prestigiose del mondo, The New Yorker, Washington Post, Bbc, Apple, Spotify, Tate Modern, e da ieri è la nuova First Lady della città più osservata del pianeta. Si chiama Rama Duwaji, moglie del neo-sindaco Zohran Mamdani, 34 anni, primo musulmano e primo sudasiatico a guidare New York. La loro elezione racconta molto più di una vittoria politica: è un salto quantico nella storia della classe dirigente americana, un passaggio di testimone che segna una svolta culturale profonda.
Nata a Houston nel 1997 da una famiglia siriana di Damasco, Rama cresce tra Stati Uniti e Golfo Persico, studia arte tra il Qatar e la Virginia, e arriva a New York per completare un master alla School of Visual Arts. Qui costruisce un percorso d’autrice raffinata e riconoscibile, capace di fondere linguaggio digitale e attivismo politico. Conosce Mamdani su un’app di incontri nel 2021, si fidanzano tre anni dopo e si sposano a Manhattan nel febbraio 2025. Dietro la discrezione delle sue apparizioni pubbliche, chi ha seguito la campagna del marito giura che la mano di Duwaji si sia vista in ogni dettaglio grafico e comunicativo: colori, simboli, persino lo slogan finale.
Ma Rama Duwaji non è una “moglie del politico” nel senso classico. È una voce indipendente, convinta che “l’arte sia intrinsecamente politica, per come è fatta, finanziata e condivisa”. I suoi lavori parlano di Palestina, Siria, Sudan, diaspora e identità. In primavera ha pubblicato un video sull’assedio di Gaza, con la scritta Not a hunger crisis… it is deliberate starvation e la didascalia: “Mentre lo facevo, Israele bombardava Gaza senza sosta. Tenete gli occhi su Gaza e sostenete”. Parole che hanno scatenato critiche e consensi, confermandola come una figura di forte polarizzazione. Nei suoi post social, spesso in bilico tra poesia visiva e denuncia civile, Duwaji mostra l’intenzione di raccontare il mondo da un punto di vista apertamente pro-Pal, senza concessioni diplomatiche.
Non solo Medio Oriente. In marzo si è schierata contro un fermo dell’ICE a New York, definendolo “un attacco alla libertà di parola”, e ha preso posizione a sostegno dell’attivista Mahmoud Khalil. Poco dopo, è finita dentro una polemica per un tributo social al content creator palestinese Saleh al-Jafarawi, accusato da alcuni di aver giustificato le violenze del 7 ottobre. I suoi sostenitori hanno difeso il gesto come espressione di empatia per le vittime civili. Tutto questo ha trasformato Duwaji in una figura pubblica globale, ponte tra arte, attivismo e rappresentanza istituzionale.
La biografia di lei e del marito è la carta geografica di una nuova New York: Uganda, India, Sudafrica e Queens per lui. Houston, Damasco, Dubai e Brooklyn per lei. Una coppia che incarna il meticciato cosmico della città e che porta al potere un immaginario completamente diverso: meno Wall Street, più strada; meno Columbia University, più movimento. Mamdani è cresciuto nel solco dei Democratic Socialists of America. Lei parla il linguaggio dei feed, dei video, delle caption. È l’America che comunica attraverso i simboli e misura il consenso in visualizzazioni.
Eppure, il nodo di fondo è un altro. New York è diventata ciò che è perché, per un secolo, ha saputo unire ambizione e ordine, pluralismo e disciplina, innovazione e solidità borghese. Era la città anglo-ebraica per eccellenza, quella che teneva insieme finanza e cultura, università e industria, talento e filantropia. Era, soprattutto, il luogo cui aspiravano tutti quelli che volevano “fare qualcosa” nel mondo. Oggi la domanda è se la nuova generazione, figlia dei movimenti, del web e delle minoranze globali, saprà conservare quella stessa ambizione e quella stessa capacità di funzionare.
















