L’accordo tra i ministri dell’Energia arrivato al termine di una maratona di 24 ore, porta in dote una traiettoria decisamente più morbida rispetto ai desiderata della Commissione europea, pur mantenendo l’obiettivo di una riduzione del 90% delle emissioni entro i prossimi 15 anni. Ma per Tabarelli il Green deal è ancora micidiale
L’accordo sul clima raggiunto a Bruxelles dopo la 24 ore di confronti e faccia a faccia tra i ministri dell’Ambiente del Vecchio continente, è motivo di soddisfazione per l’Italia. Essenzialmente, per due motivi. Primo, il raggiungimento del taglio del 90% delle emissioni entro il 2040 avrà margini di flessibilità più alti. Secondo, Roma non si presenterà a mani vuote all’appuntamento, al via in queste ore, a Belém in Brasile, sede della Cop 30.
Una maratona quella di ieri, dunque, che ha visto il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, guidare una pattuglia in grado di rompere il fronte dei contrari (alla fine hanno votato non all’accordo Slovacchia, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria).
Per arrivare alla maggioranza qualificata, dunque, c’è voluto un giorno intero e la notte tra negoziati e scrittura di un nuovo testo che fosse un compromesso ancora più forte rispetto a quello presentato alla vigilia della riunione straordinaria. Perché molti Paesi, Italia in prima fila, hanno puntato i piedi per avere una traiettoria meno rigida. La maggiore flessibilità sta tutta nella possibilità di contabilizzare nel bilancio delle emissioni fino al 5% di crediti internazionali di carbonio extra Ue. E, come richiesto il modo particolare proprio dall’Italia, si è andati anche oltre: un aggiuntivo 5% di crediti esteri potrà essere acquistato dai Paesi, per coprire gli sforzi nazionali. Resta, comunque, l’avvio al 2036, con un periodo pilota che potrà iniziare nel 2031. Il testo, inoltre, conferma una clausola di revisione su base biennale (come già proposto dalla presidenza danese) a seguito di una valutazione da parte della Commissione della legge sul clima.
Di più. Assieme all’intesa sui target 2040 è arrivato anche l’accordo tra i 27 Paesi Ue sul contributo determinato a livello nazionale (Ndc), ovvero il contributo dell’Ue agli sforzi globali sul clima per il 2035 richiesti dagli impegni della Cop30 di Belém, in Brasile. Il range sul quale è stato trovato un accordo prevede un taglio delle emissioni compreso tra il 66,25% e il 72,5% rispetto ai livelli del 1990, in pratica lo stesso intervallo indicato nella dichiarazione presentata dall’Ue alla Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) a settembre. Infine, altra piccola vittoria italiana, sarà rinviata di un anno, dal 2027 al 2028, l’entrata in vigore del sistema di scambio di quote di emissione per l’edilizia e il trasporto stradale: il meccanismo estende il campo d’azione del mercato del carbonio perché coinvolgerà nuovi settori strategici per il raggiungimento della neutralità climatica.
Difficile dire quale sarà l’esito del negoziato, che comincerà verosimilmente a dicembre, tra Consiglio Ue e Parlamento. Se da un lato la frenata sul Green deal all’insegna della maggiore flessibilità, pur mantenendo gli obiettivi finali di decarbonizzazione, ha segnato divisioni profonde nella maggioranza parlamentare pro Ue che sostiene la Commissione europea, dall’altro lato si resiste a seguire la stessa Commissione e i governi sull’operazione semplificazione normativa o sul prossimo bilancio Ue. La cosa certa è che l’intesa di oggi è stata una prova rilevante a favore di un compromesso fra ambizione pro clima, competitività industriale e indipendenza energetica.
Lo stesso ministro Pichetto Fratin ne vede il bicchiere mezzo pieno, parlando di “compromesso equilibrato”, nonostante le critiche ricevute da più parti, sia da alleati di governo, in particolare la Lega, sia dall’industria. Pichetto ha riconosciuto che l’Italia è stata determinante per rimuovere la minoranza di blocco che avrebbe potuto frapporsi sui pesanti obiettivi di taglio alle emissioni che la Ue si è autoimposta. “La partita era estremamente difficile, c’è stato tutto un percorso per raggiungere l’intesa. Si è aperto un confronto con la minoranza di blocco, eravamo in grado di bloccare le misure. Ma poi noi ci siamo presentati con una serie di temi, che sono quelli che la presidente del Consiglio Meloni ha illustrato al Parlamento. E incassati questi aspetti l’intesa era un punto di interesse nazionale notevole”, ha proseguito Pichetto. La stessa linea che avrà l’Italia in Brasile, Paese verso il quale è in volo il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “L’Italia”, ha chiarito una nota della Farnesina, “ribadirà la sua ferma determinazione a fare la propria parte per limitare l’aumento della temperatura globale, invitando tutti gli Stati parte a coniugare ambizione e realismo, perseguendo gli obiettivi climatici con apertura e innovazione, ma evitando i dogmatismi”.
E anche secondo il ministro per le Imprese, Adolfo Urso, “siamo finalmente nella fase decisiva, ieri il ruolo significativo, importante, protagonista dell’Italia ha consentito di realizzare modifiche importanti e significative nel patto per il clima con l’introduzione del concetto fondamentale della neutralità tecnologica, della flessibilità e, quindi, della revisione biennale e il riconoscimenti finalmente pieno del biocarburante. L’Italia è in campo da protagonista, finalmente riusciamo ad aggregare una maggioranza riformatrice ed è il momento giusto per raggiungere gli obiettivi”.
LA VERSIONE DI TABARELLI
L’Italia può quindi esprimere la sua soddisfazione in merito alla maggiore flessibilità nel raggiungimento dei target. Era possibile staccare un dividendo più cospicuo? E cosa rimane del Green deal dopo l’intesa tra i ministri dell’Ambiente? Formiche.net ne ha parlato con Davide Tabarelli, fondatore e presidente di Nomisma Energia. “Quello di Bruxelles è solo un dolcificante, anche se è un primo passo che può far ben sperare. Ma pensare di tagliare le emissioni del 90% in 15 anni è ancora un salto mortale, una cosa mostruosa. Insomma, un rischio enorme. Di più, una follia, che conferma ancora una volta il distacco dalla realtà dell’Europa”, ha commentato Tabarelli.
“Non posso dare un giudizio positivo all’accordo raggiunto a Bruxelles. Ma non perché non condivida il fatto che il Green deal ad oggi rappresenti ancora una rivoluzione poco sensata, da correggere prima che sia troppo tardi, anche attraverso quella flessibilità appena abbozzata nell’intesa sulle emissioni. Il punto è che bisognava fare di più, portare a casa una prima, vera, messa in discussione della transizione così come impostata dalla Commissione europea”, aggiunge. “Quello che voglio dire è che siamo in una trappola, uscire dal tentativo di rivoluzione verde in cui siamo finiti sarà difficile”.
A chi fa notare come la flessibilità prevista nell’accordo, grazie alla spinta italiana, è comunque un primo segnale di ripensamento, Tabarelli non nasconde un accenno di soddisfazione. “Certo, da 0 a 100, 50 è meglio di zero, è già qualcosa. Ma la sostanza è la stessa, l’impianto è quello. L’obbligo di mettere fuori dal mercato i motori a benzina e diesel entro il 2035 è ancora lì. E lo stesso taglio delle emissioni al 90%. Queste sono le follie che ancora sono presenti nel Green new deal. Certo, aumentare del 5% la contabilizzazione del carbonio è un buon segnale. Ma da una transizione veramente realista e realizzabile, siamo lontani anni luce. La verità è che il Green deal, ad oggi, rimane un tentativo, maldestro e micidiale, di rivoluzione. La crescita in Europa negli ultimi 30 anni è stata del 60%, negli Stati Uniti di quasi tre volte. Se vuoi sviluppo, devi fare Pil e il Green deal invece questa crescita la soffoca, nonostante le buone intenzioni. Ecco come stanno le cose”.
Una strada che l’Italia ha deciso di battere, lavorando sia sul versante del consenso, sia su quello industriale è quella del nucleare. “Ci vorrà del tempo per il nucleare, e nelle more che facciamo. Non possiamo pensare di azzerare tutto in attesa che arrivi l’atomo. Anche nel più ottimistico dei casi, dal momento in cui arrivasse il via libera ci vorrebbero almeno 10 anni per l’entrata in funzione della prima centrale. In ogni caso però, l’Italia ci deve provare: il nucleare è necessario se vogliamo avere una fonte di energia pulita e controllabile nell’ottica della transizione energetica”.
Insomma, le date da cerchiare con il rosso sono due, 2035 e 2040. Tabarelli però nutre seri dubbi sul fatto che, alla fine, la tagliola su benzina e diesel scatterà tra dieci anni. “Credo che quel target verrà rivisto, anzi ne sono quasi certo. Parliamo di fisica dell’energia, in Europa ci sono 250 milioni di auto con l’elettrico al 2%. E pensiamo a togliere dal mercato oltre il 90% del parco macchine circolante in dieci anni. Qualcuno prende come riferimento la Cina. Ma non è un riferimento, non può esserlo per l’Europa. Ritmi e velocità troppo diversi”.















