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La fabbrica della deterrenza. Dentro il piano Usa per un milione di droni

Con un piano per produrre un milione di droni in tre anni, l’Esercito americano apre una nuova fase della competizione tecnologica e industriale. L’obiettivo non è solo colmare il divario con la Cina, ma riscrivere la logica della potenza militare con meno programmi decennali, più rapidità, scalabilità e flessibilità. La riforma del procurement voluta da Hegseth spinge questa trasformazione, che unisce industria, innovazione e strategia

L’Esercito degli Stati Uniti ha annunciato l’intenzione di produrre e acquisire un milione di droni entro i prossimi tre anni, un obiettivo che riflette il cambio di paradigma militare maturato dopo l’esperienza ucraina. Non si tratta solo di quantità, ma di una diversa idea di potenza tecnologica e industriale.

L’operazione rientra nel più ampio processo di modernizzazione voluto dal Pentagono e dal segretario alla Difesa Pete Hegseth, che ha avviato una profonda riforma del procurement per rendere più rapidi e flessibili gli acquisti della Difesa. L’obiettivo è reagire alla competizione globale con Cina e Russia e restituire all’industria americana la capacità di adattarsi a cicli produttivi più veloci e modulabili.

Secondo le dichiarazioni del segretario all’Esercito Daniel Driscoll, il piano mira a moltiplicare la produzione attuale, circa 50 mila droni all’anno, fino a raggiungere la soglia di un milione entro il 2028. Saranno perlopiù sistemi di piccole e medie dimensioni, economici, facilmente sostituibili e in parte destinati all’expendable use, come già avviene in Ucraina.

Washington punta a stimolare la filiera nazionale, dalle batterie ai sensori, con programmi come SkyFoundry che favoriscono partnership tra esercito e imprese civili, comprese startup e aziende tecnologiche emergenti. L’idea è sfruttare tecnologie commerciali pronte all’uso, riducendo costi e tempi di sviluppo.

Il contesto operativo e industriale è chiaro visto che i droni sono diventati un moltiplicatore di forza, capaci di alterare l’equilibrio tattico senza un’escalation di mezzi pesanti. Il Pentagono vuole evitare dipendenze estere e colmare il divario con la Cina, che già produce sistemi senza pilota su scala industriale e a costi inferiori.

Sul piano strategico, l’iniziativa dei droni anticipa un cambiamento più profondo. L’adozione di modelli produttivi agili, promossa anche dalla riforma Hegseth, ridefinisce il rapporto tra innovazione e logistica.

Il concetto di superiorità non coincide più con la sofisticazione tecnologica di pochi sistemi avanzati, ma con la capacità di dispiegare rapidamente migliaia di piattaforme interoperabili. In questo senso, la massa torna a essere un elemento di deterrenza.

La sfida per gli Stati Uniti è al tempo stesso industriale e culturale, perché richiede di costruire un ecosistema capace di produrre droni, software e componenti con la stessa rapidità del settore civile. Il messaggio è diretto anche agli alleati, Europa in testa, che osservano l’esperimento americano come un possibile modello di adattamento alla guerra contemporanea.

L’era dei grandi programmi decennali sembra lasciare spazio a una logica di scala, dove chi produce prima e di più conquista un vantaggio decisivo.


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