Mentre Trump ignora lo scandalo Epstein e annuncia l’ennesima vittoria per la fine dello shutdown e la propaganda russa rilancia avanzate e conquiste, come quelle odierne di due villaggi nelle regioni di Kharkiv e Dnipropetrovsk, le prospettive del Presidente americano e di quello russo sembrano sovrapporsi a scenari storici. L’analisi di Gianfranco D’Anna
“Un’altra vittoria così e saremo rovinati”: è la famosa frase pronunciata da Pirro, sovrano dell’Epiro e poi Re di Macedonia, dopo aver vinto una sanguinosa battaglia.
Una frase che a quasi duemila e 500 anni fotografa l’avanzata dell’armata russa a Pokrovsk nell’Ucraina orientale, oblast di Donetsk, che sta costando alle truppe di Mosca un’ecatombe di vittime.
Basta vedere le foto dei soldati di Mosca mandati al massacro a bordo di moto e di monopattini per sorprendere le prime linee ucraine avvolte dalla nebbia. Militari costretti ad avanzare sospinti dai cecchini degli spietati reparti di disciplina russi alle loro spalle, pronti a colpirli al primo accenno di indietreggiamento o, peggio, di resa.
Circostanza che oltre ai rivelamenti satellitari e dai report dell’intelligence occidentale, è stata evidenziata dalla Cnn che ha riferito di numeri molto elevati di vittime russe nei dintorni di Pokrovsk. È forse anche per questo che i russi nelle ultime ore avrebbero ridotto gli assalti alla città, in attesa di rinforzi.
Che si tratti di una vittoria di Pirro lo si deduce anche dall’inatteso rilancio diplomatico di Mosca verso Trump. Tentando di approfittare delle nuove gravi difficoltà del tycoon che rischia di essere travolto dall’inconfessabile coinvolgimento diretto nel giro di prostituzione minorile orchestrato dall’amico pedofilo, forse suicida, Jeffrey Epstein, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha dichiarato: “Speriamo sinceramente che il presidente Trump sia ancora disposto a contribuire a una risoluzione politica e diplomatica del problema ucraino”.
Per molti versi la lezione di Pirro calza anche a Donald Trump e alle sue effimere vittorie, dai dazi, allo shutdown, alla guardia nazionale mandata a presidiare Washington e altre città, dalla tregua a Gaza al braccio di ferro con la Cina, che costano all’America e all’Occidente non visibili vittime umane, ma lo stravolgimento della Costituzione degli Stati Uniti e l’effetto domino globale di enormi danni finanziari ed economici.
A tre mesi dal quarto anniversario dell’invasione della Russia, la guerra di Putin contro l’Ucraina ha invece totalizzato finora un terrificante bilancio di almeno un milione di vittime, fra caduti e feriti, senza una svolta concreta neanche per la battaglia di Pokrovsk dove “non è ancora il caso di parlare di un controllo russo sulla città o di accerchiamento operativo dei difensori” ha affermato il comandante in capo delle Forze armate di Kyïv, Oleksandr Syrsky.
Parole che non attenuano l’apprensione per il rischio di un collasso del fronte che si respira a Kyiv, dove l’atmosfera è già politicamente incandescente per il licenziamento dal governo dei ministri della Giustizia e dell’Energia, coinvolti nell’inchiesta sulla corruzione nel settore energetico.
Intanto a Dnipro, nelle retrovie del fronte di Pokrovsk, stanno confluendo rinforzi e l’intelligence transatlantica sta intensificando gli sforzi per arginare la pressione russa.
Il Financial Times scrive che sarebbe stata proprio “la carenza di militari a mettere la città sull’orlo del baratro, poiché Kyiv non è in grado di inviare truppe per la difesa”.
L’istantanea della situazione del conflitto mostra la tragica contrapposizione sulla linea di fuoco fra i difensori carenti di combattenti e gli invasori che pur in numero dieci volte superiore, nonostante l’eccidio dei propri soldati, riescono soltanto ad avanzare a passo d’uomo, anzi di caduto.
Sembra un aggiornamento storico, in salsa putiniana, del dejavu di Pirro, che sbarcò nell’Italia della Magna Grecia con un poderoso esercito ellenico-macedone con l’aggiunta delle forze di vari alleati italici e che schierava ben prima di Annibale una ventina di elefanti, allora del tutto sconosciuti nella penisola. Tuttavia proprio a causa delle battaglie vinte lasciando sul campo cadaveri a perdita d’occhio non riuscì a prevalere su Roma ed alla prima sconfitta dovette tornarsene in Epiro.
Fallimento dei piani di guerra lampo, crescente resistenza del Paese invaso, continuo sostegno militare e di intelligence Usa, inglese, della Nato e dell’Europa all’Ucraina, progressivo esaurimento degli armamenti convenzionali, rischi di collasso economico interno a causa delle sanzioni e dell’isolamento internazionale: a fronte di questo scenario, che ricorda l’implosione che determinò la sconfitta degli imperi della Germania ed austro-ungarico nella Prima guerra mondiale, l’unico notevole vantaggio, oltre al nucleare, rimasto a Mosca è quello dell’enorme potenzialità demografica.
La popolazione complessiva di circa 145 milioni dei 21 Stati della Federazione russa consente una continua mobilitazione, lontana dalla capitale e dissimulata fra le repubbliche asiatiche, di truppe inesperte poco addestrate ma in grado di sostituire e ammortizzare con un flusso ininterrotto le perdite al fronte. Fino a quando, in un modo o nell’altro, il sangue di intere generazioni di caduti non lambirà il Cremlino.
“Putin sta cercando di usare l’inverno come arma. Ancora una volta, fallirà perché l’Europa continuerà a rafforzare la resistenza dell’Ucraina. Ripareremo i danni causati dagli attacchi russi. Stabilizzeremo la rete energetica dell’Ucraina con oltre 2 gigawatt di elettricità e proteggeremo le infrastrutture. Il Presidente russo crede ancora di poter resistere più a lungo di noi. Crede ancora che, col tempo, possa raggiungere i suoi obiettivi sul campo di battaglia. Un grave errore di calcolo per la Russia”. È l’odierna sveglia riservata a Mosca dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Una dichiarazione potrebbe preludere ad una decisione sugli asset russi congelati, per un valore di centinaia di circa 160 miliardi di euro, principalmente riserve della Banca centrale russa, bloccati in Europa e in altri Paesi a seguito dell’invasione dell’Ucraina.
















