Il penultimo Ecofin dell’anno sancisce la volontà tutta politica di procedere alla monetizzazione delle riserve della Banca centrale russa detenute in Europa. Ma il diritto internazionale è in agguato. Il tempo stringe e tra pochi mesi non ci saranno più soldi per Kyiv. Intanto arriva un stretta contro l’e-commerce selvaggio del Dragone. Che ha il fiatone
Punto e a capo. Come nel gioco dell’oca, sugli asset russi si torna alla linea di partenza. Con una differenza, il tempo stringe. I ministri dell’Economia e delle Finanze riuniti a Bruxelles in occasione dell’Ecofin hanno raggiunto un accordo più politico che altro. Finanziare l’Ucraina attraverso un prestito di riparazione garantito da beni russi congelati è l’opzione più efficace tra le tre considerate per aiutare Kyiv, nei mesi del disimpegno economico americano. Ora, le possibilità sul campo sono essenzialmente tre.
Primo, l’Ue potrebbe indebitarsi a valere sul suo bilancio a lungo termine. Secondo, i singoli Paesi membri potrebbero a loro volta indebitarsi per sostenere Kyiv oppure, terzo, approvare un prestito da erogare utilizzando i beni congelati della Banca centrale russa, circa 190 miliardi annidati nella finanziaria belga Euroclear. La convergenza è arrivata sul terzo punto, considerato dai ministri maggiormente attraente in quanto non aumenta il debito nazionale e potrebbe fornire all’Ucraina fino a 140 miliardi di euro (163,3 miliardi di dollari) per soddisfare il suo fabbisogno finanziario stimato. L’Ucraina dovrebbe rimborsare il prestito solo se riceverà le riparazioni dalla Russia, trasformandolo di fatto in una sovvenzione.
Poi c’è la politica e qui entra in gioco la Commissione europea. A Bruxelles sanno fin troppo bene che nel giro di pochi mesi le risorse per Kyiv potrebbero esaurirsi. Bisognerebbe fare nuovo budget e dunque chiedere agli Stati membri nuovi apporti di capitale. Invece i beni russi sono lì, pronti all’uso. O quasi. tanto è vero che il 19esimo pacchetto di sanzioni alla Russia, adottato e messo a terra tre settimane fa, ha aperto il varco al disegno di legge predisposto dal Consiglio d’Europa, che affida alla stessa Commissione il compito di fornire le basi giuridiche per l’erogazione di una linea di credito a favore di Kyiv da 140 miliardi di euro, garantita dagli asset pubblici russi sottoposti a congelamento dal marzo 2022.
L’escamotage individuato dagli specialisti europei per aggirare il problema consiste nel subordinare la restituzione dei fondi russi impegnati a garanzia del prestito alla disponibilità di Mosca a rifondere riparazioni di guerra a beneficio dell’Ucraina. De facto, tuttavia, l’iniziativa promossa dal Consiglio d’Europa contempla un esproprio forzoso di proprietà a danno dello Stato russo. Agire unilateralmente su quest’ultimo significherebbe violare deliberatamente il pilastro giuridico dell’immunità sovrana degli Stati, esponendo nella fattispecie il Belgio a colossali richieste di indennizzo per inadempienza agli obblighi contrattuali e condannando l’Unione europea a una perdita definitiva e irreparabile di credibilità internazionale.
Proprio da queste criticità muovono le paure dello stesso governo belga. Il primo ministro Bart De Wever ha chiarito, più volte, le tre condizioni imprescindibili per il via libera di Bruxelles: mutualizzazione del rischio legale tra tutti gli Stati membri, garanzie finanziarie concrete da parte degli altri Paesi per eventuali rimborsi e coinvolgimento di tutti i Paesi Ue in cui siano presenti asset russi, non solo del Belgio. “Siamo gli unici”, ha dichiarato De Wever, “a fornire extraprofitti all’Ucraina tramite Euroclear. Se il progetto dovesse fallire, saremo noi a subire le conseguenze legali e finanziarie. Serve una vera solidarietà europea”. Il tempo, però, stringe.
Attenzione, all’Ecofin non si è parlato solo di asset russi. Anche la Cina ha fatto capolino al tavolo dei ministri. I quali hanno dato il loro benestare a una stretta contro l’e-commerce cinese, sotto forma di dazi sui mini pacchi, oggi esenti da tariffe doganali. L’Ecofin ha infatti abolito infatti l’esenzione dai dazi doganali per i pacchi in ingresso nell’Unione che valgono meno di 150 euro. La volontà è quella di dare il prima possibile una stretta al diluvio di pacchetti in arrivo per lo più dall’e-commerce cinese e con il via libera dell’Ecofin la norma potrebbe finire nella legge di bilancio, già dal 2026 nelle ambizioni del Consiglio Ue, e non solo dal 2028 come vorrebbe la riforma ufficialmente approvata. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è detto “soddisfatto”, parlando di “un fenomeno che sta distruggendo il commercio al dettaglio”.
Un brutto colpo per il Dragone, nel giorno in cui sono arrivati da Oriente segnali non particolarmente incoraggianti da alcuni importanti dati macro cinesi che indicano una crescita inferiore alle attese della produzione industriale e leggermente superiore delle vendite al dettaglio per il mese di ottobre, in entrambi i casi in rallentamento rispetto al mese precedente. Secondo i dati del Bureau of Statistics cinese, la produzione industriale è cresciuta del 4,9% su base annua a ottobre, meno del mese precedente (+6,5%) e del consensus (+5,5%). La crescita degli ultimi 12 mesi si assesta al 6,1%, sotto il 6,2% del mese precedente. La debole spesa aziendale è continuata a ottobre, con gli investimenti in immobilizzazioni in calo dell’1,7% su base annua, quasi il doppio rispetto alle previsioni di un calo dello 0,9%. Gli investimenti hanno, invece, rallentato ulteriormente rispetto al calo dello 0,5% del mese precedente.
















