Che lo scenario rappresentato dalle maggioranze variabili fosse la “carta di identità” del nuovo euroemiciclo era cosa chiara sin dai giorni post voto, quando i numeri non lasciavano spazio a discussioni. La costante dello schema-italiano a guida centrodestra è un elemento che potrà essere replicato verosimilmente anche in futuro. Lo dimostrano due temi sensibili come immigrazione e Green deal
Si incrina la maggioranza Ursula bis? L’Eurocamera dice sì agli obblighi di due diligence e reportistica ambientale per le aziende, grazie ad un asse a sorpresa del Ppe con le destre di Patriot e Ecr. La maggioranza Ursula si spacca ancora, è lecito chiedersi? E come proseguirà la sua marcia anche alla luce dei prossimi voti in settori complicati e forieri di ampio dibattito, come ad esempio il clima? I socialisti si lamenteranno di questa deriva o digeriranno le interlocuzioni con altri partiti? L’ago della bilancia è ovviamente il Ppe, che in questo caso ha votato con i tre gruppi di destra, Conservatori (Ecr), Patrioti (PfE) e Sovranisti (Esn).
IL VOTO PPE-DESTRE
A destra a suonare la carica ci pensa il vicepresidente di Ecr Carlo Fidanza, che a proposito del voto in questione punta il dito contro la sinistra definita “nemica della piccole e medie imprese”. Richiama infatti nella precedente il compromesso fatto dal Ppe con le sinistre che “era stato affossato, mentre quello fatto oggi con i gruppi di centrodestra è stato votato positivamente”. Secondo il capo delegazione di Fratelli d’Italia anche nei prossimi Omnibus la Commissione Ue “vorrà proporre lo stesso schema, per procedere sulla strada della semplificazione e restituire la competitività alle nostre imprese. Oggi queste sono in sofferenza rispetto ai giganti cinesi e americani”. Plaude alla due diligence l’europarlamentare di Forza Italia Salvatore De Meo, secondo cui il voto “obbliga le imprese a controllare le proprie filiere produttive per verificare eventuali violazioni dei diritti umani o danni ambientali e rendicontarne il relativo impatto, siamo riusciti a correggere alcuni aspetti che rischiavano di penalizzare le aziende europee nei suddetti adempimenti burocratici”. Una posizione che rafforza la decisione finale, nata dalla volontà di voler “coniugare ambizione ambientale e realismo economico, scegliendo un approccio pragmatico e costruttivo, lontano da derive ideologiche e dannose per la competitività del sistema produttivo europeo”.
VOGLIA DI MAGGIORANZA
Il voto dice due cose: che il Ppe resta distante da gruppi come i Patriot, ma serve realismo perché “dobbiamo comunque trovare delle maggioranze in Parlamento”. Lo ha detto Jorgen Warborn, relatore dei popolari sul primo provvedimento omnibus. Una presa d’atto pragmatica, che già si era vista in occasione di precedenti dibattiti sull’immigrazione. Secondo Warbon i negoziati con S&d, Renew e Verdi non hanno prodotto una maggioranza, “ed è per questo che ho presentato gli emendamenti che sono al 100% del Ppe”. La domanda vera, adesso, tocca il futuro. Il relatore spiega: “Vorrei ricordare che questa settimana abbiamo discusso del Qfp insieme alla nostra piattaforma e ai Verdi. Abbiamo votato insieme le regole sul clima per il 2040 con la piattaforma. Quindi mi piacerebbe collaborare molto anche in futuro con i partiti della piattaforma. Ma quando non si riesce a trovare una maggioranza, bisogna trovarla comunque”. In quel “bisogna” ci sono alcune delle risposte politiche ai quesiti.
SCENARI
Che lo scenario rappresentato dalle maggioranze variabili fosse la “carta di identità” del nuovo euroemiciclo era cosa chiara sin dai giorni post voto, quando i numeri non lasciavano spazio a discussioni. La costante dello schema-italiano a guida centrodestra è un elemento che potrà essere replicato verosimilmente anche in futuro. Lo dimostrano due casi. Sull’immigrazione il cancelliere tedesco Friedrich Merz si è da tempo avvicinato alle posizioni italiane e il riflesso nei voti a Bruxelles sarà pressoché scontato, a maggior ragione dopo la relazione sul patto per le migrazioni ed asilo presentata in aula due giorni fa. Idem sul Green deal, dove le mancate interlocuzioni di Timmermans con il mondo produttivo e industriale hanno prodotto non solo un corto circuito finanziario (con effetti sui livelli occupazionali) ma una volontà delle parti di meglio intendersi di qui al 2035.
















