Domani a Istanbul comincia l’assemblea parlamentare Osce che avrà, tra i focus principali, la situazione in Ucraina. Anche alla luce del dibattito interno, occorre ribadire la vicinanza dell’Italia e inviare le armi. Purché ci sia, parallelamente, un’azione di diplomazia (anche parlamentare) che provi ad aprire la strada del negoziato. Colloquio con il senatore del Pd, Alessandro Alfieri
Con l’inverno che stringe l’Ucraina e la Russia che intensifica gli attacchi alle infrastrutture energetiche, domani a Istanbul si apre l’Assemblea parlamentare dell’Osce. Un appuntamento che arriva mentre l’Europa lotta contro la stanchezza delle opinioni pubbliche e in Italia divampa di nuovo il dibattito sull’invio delle armi a Kiev, acuito dalle sortite del vicepremier leghista Matteo Salvini che mettono in difficoltà la maggioranza. “Di fronte alla stanchezza dell’opinione pubblica e alla spinta sempre più aggressiva di Putin, non possiamo permetterci tentennamenti. Dobbiamo stare senza esitazione dalla parte dell’Ucraina, anche inviando armi ma rafforzando le azioni diplomatiche”. Non ha dubbi sul punto il senatore del Pd, Alessandro Alfieri che, da domani, parteciperà ai lavori dell’assemblea Osce.
Senatore Alfieri, domani si apre l’Assemblea parlamentare dell’Osce a Istanbul. Qual è il clima con cui vi presentate?
Andiamo a Istanbul con grande preoccupazione. La situazione in Ucraina peggiora di giorno in giorno: la Russia colpisce con sempre più frequenza le infrastrutture energetiche e, immediatamente dopo, prende di mira le squadre di riparazione. Un chiaro segnale che l’obiettivo di Putin è fiaccare il morale della popolazione e sfruttare la stanchezza dell’opinione pubblica europea. In questo contesto, mantenere alta l’attenzione internazionale è fondamentale. È evidente che lo zar abbia sfruttato la “finestra” mediorientale – tutta l’attenzione si è fossilizzata su Gaza e sul piano di pace americano – per riprendere a bombardare l’Ucraina con maggiore intensità e violenza.
In Italia si riapre il dibattito sull’invio delle armi. Come risponde chi propone di ridurre o fermare gli aiuti militari a Kiev?
Le armi vanno mandate, senza esitazioni. Sono l’unico modo per permettere agli ucraini di resistere. Ma da sole non bastano: servono anche iniziative diplomatiche forti, coordinate tra Ue e Stati Uniti. Gli Usa da soli non possono gestire Putin, l’Europa deve fare la sua parte.
Il tema della corruzione in Ucraina, specie alla luce delle ultime vicende che hanno riguardato alcune persone molto vicine al presidente Zelensky, è spesso citato da chi vuole frenare gli aiuti. Quanto è rilevante?
La corruzione è un problema reale, presente anche prima della guerra. Gli ucraini la devono affrontare per avvicinarsi alle istituzioni europee e costruire istituzioni solide. Ma non può diventare un pretesto per tagliare gli aiuti: significherebbe punire una popolazione che ha scelto il proprio futuro europeo.
Qual è il peso della posizione di Matteo Salvini in questo dibattito?
Salvini prova a differenziarsi dalla maggioranza per intercettare il malcontento e la stanchezza dell’opinione pubblica, imputando all’Ucraina e alla guerra problemi come le bollette più care. È un messaggio populista che rischia di indebolire la posizione internazionale dell’Italia e di mettere in imbarazzo Giorgia Meloni, che fatica a costruire credibilità in politica estera.
Se la Lega è la spina nel fianco della maggioranza, anche il campo largo fatica a trovare una sintesi. Quale l’approccio in questo senso?
Sulla manovra economica abbiamo trovato un equilibrio, ora serve lo stesso sforzo sulla politica estera. Sono convinto che, lavorando con gli altri partner, anche Conte, si possano costruire posizioni condivise e solide.
Sul tavolo di Istanbul ci sarà anche la diplomazia parlamentare. Quale ruolo può avere?
Un ruolo centrale. La diplomazia parlamentare è più flessibile e libera di quella tra governi. La storia lo insegna: lo scongelamento Est-Ovest a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta partì dalla Conferenza di Helsinki del 1975, grazie a spazi di dialogo parlamentari. Oggi possiamo fare qualcosa di simile: mantenere aperti canali, provare a superare le radicalizzazioni e costruire ponti utili quando si aprirà un negoziato vero. L’obiettivo è chiaro: non lasciare sola l’Ucraina nel momento più difficile.















