“Il modello italiano di Meloni? Una necessità in Ue, che è sotto gli occhi di tutti. Continuando così il destino dell’Europa non è quello dell’irrilevanza, ma quello della totale deindustrializzazione, della perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. I popolari su questo credo che possono convergere con noi”. Intervista all’eurodeputato di Ecr/FdI, Alessandro Ciriani
Nessuno è contrario alle esigenze ambientali però i tempi di realizzazione devono essere battuti dai ritmi delle industrie, per avere la compatibilità tra quelli che sono gli obiettivi ambientali e il sistema industriale europeo. Altrimenti rimarremo legati mani e piedi alla Cina e altre potenze industriali. Questo il ragionamento che l’eurodeputato di Ecr/FdI Alessandro Ciriani fa a proposito del green deal, partendo da una considerazione politica: il voto della scorsa settimana nell’euroemiciclo, quando il Ppe ha votato con la destre e non con socialisti e verdi, apre nuovi scenari per il Parlamento europeo, che di fatto si appresta ad una stagione dettata dal bipolarismo dove l’attuale modello italiano può rappresentare una svolta. “Il Ppe – osserva il deputato friulano – guardi un po’ più verso il centrodestra e un po’ meno verso degli alleati che, da questo punto di vista, sono totalmente inservibili”.
Ue, dalle maggioranze variabili al modello italiano: il voto della due diligence lo conferma?
Più che una conferma credo che sia una necessità, ormai è sotto gli occhi di tutti, dagli osservatori più distanti dalla posizione di Fratelli d’Italia pensate a Mario Draghi, fino ad un altro come Enrico Letta che sono venuti a raccontarci il male che c’era dall’Europa: occorre creare una maggioranza che sia razionale e che orienti le politiche europee sui binari del buon senso. Si vede che quando si approvano provvedimenti come questi, anche se poi contemporaneamente quelli sul clima sono andati in direzione differente, c’è una reazione molto positiva.
Da chi?
Dagli attori protagonisti dell’economia europea, quindi è auspicabile che il Partito popolare europeo incominci a guardarsi intorno e capire quale indirizzo seguire, se quello ancora ideologico e dogmatico che ha caratterizzato la precedente Presidente Commissione o, al contrario, se iniziare ad ascoltare il grido di dolore di chi produce la ricchezza in Europa.
Lo schema cosiddetto “Giorgia” se applicato anche in Ue potrebbe riproporre il bipolarismo e, quindi, una maggiore governabilità?
Sì. Credo che il modello italiano di Giorgia Meloni sia un modello consolidato. Questo significa mettere insieme delle maggioranze omogenee e compatibili dal punto di vista politico e ideale. Devo dire la verità: faccio fatica a comprendere quando i popolari votano provvedimenti che sono contrari non solamente a quello che è l’indirizzo politico ma anche all’indirizzo valoriale che dovrebbe contraddistinguere l’Italia e l’Europa. Quindi lo schema italiano è un progetto che secondo me sta in piedi, è un progetto utile, è un progetto che va incontro alle esigenze delle categorie economiche europee ed è un progetto che avrebbe anche una sua qualità valoriale che, in assenza di una Costituzione che richiami i valori fondanti dell’Europa, sarebbe già un primo passo.
Ppe e destre sono più vicine su temi come green deal, immigrazione, difesa di quanto non lo siano centro e sinistre?
Certo, perché i popolari come il resto dell’emiciclo a destra del Parlamento europeo, basano le loro ricette economiche su concetti di carattere pragmatico. Al contrario, la sinistra ha un approccio di carattere ideologico. Potremmo sintetizzarlo così: la sinistra dice che se la realtà non collima con i suoi provvedimenti, tanto peggio per la realtà. Il green deal è stato completamente fallimentare. Aveva l’obiettivo della riduzione delle emissioni, ma sono obiettivi irrealizzabili, staccati dalla realtà e che contrastano con i dati perché vanno visti sul livello globale. Tutti a parlare delle rinnovabili, ma contemporaneamente c’è l’altra faccia della medaglia di cui nessuno parla cioè l’aumento anche dell’energia prodotta dai fossili. Il mix energetico mondiale è composto per più dell’80% ancora da energia che si ricava da fonti fossili. Quindi occorre uscire da questo schema del green deal e per farlo occorrono le voci pragmatiche dei popolari e del centrodestra che tra l’altro sono molto più vicine alle posizioni delle categorie produttive europee. La sinistra è sempre stata un’avversaria, tant’è vero che anziché analizzare gli errori commessi sul green new deal alza totalmente l’asticella nei confronti del mondo industriale: questo è un errore drammatico. L’unico risultato che abbiamo ottenuto non è stato quello di entrare nelle tecnologie delle filiere legate alla transizione verde, abbiamo invece ottenuto sovvenzioni con miliardi di fondi europei per un mercato ideale per l’esportazione dalla Cina che detiene l’80% delle tecnologie sul solare e sulle batterie, il 70% per le turbine eoliche e ha una posizione dominante sulle materie prime, in particolare sulle terre rare.Sono così stati distrutti interi comparti industriali come quello del cemento, del petrolio, della ceramica, della chimica, dell’acciaio e dell’automotive. Per cui di fronte a un quadro del genere forse bisogna rendersi conto che il destino dell’Europa non è quello dell’irrilevanza, ma quello della totale deindustrializzazione, della perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. I popolari su questo credo che possono convergere con noi. Dovevamo diventare leader nelle tecnologie e nelle filiere della transizione green, invece abbiamo ottenuto il risultato di creare, sovvenzionandolo pure con miliardi di euro, il mercato ideale di sbarco per le esportazioni cinesi.
Come procede la revisione del green deal? È possibile dire che il 2035 è una data destinata a cambiare?
Deve cambiare, nel senso che sono obiettivi sostanzialmente irrealizzabili e autolesionistici. Addirittura suicidi per certi versi. Il voto della scorsa settimana secondo me ha aperto uno spiraglio, ma c’è ancora moltissimo da fare. Nessuno è contrario alle esigenze ambientali però i tempi di realizzazione devono essere battuti dai ritmi delle industrie, cioè devono essere in grado di poter avere la compatibilità tra quelli che sono gli obiettivi ambientali e il sistema industriale europeo. Altrimenti rimarremmo legati mani e piedi alla Cina e altre potenze industriali. Nel momento in cui non deteniamo sovranità tecnologiche, sovranità energetica, entrano le materie prime dall’esterno. Qualcuno deve spiegarmi come si può utilizzare il Green New Deal senza colpire al cuore l’economia europea. È un autentico suicidio. Quindi occorre rivedere questi obiettivi non solamente con lo stop the clock ma togliere tutti quegli elementi che questo momento preoccupano i produttori europei nei diversi settori.
Come i dossier stringenti (immigrazione e clima) e gli eventi legati alla contingenza (guerre) potrebbero cambiare l’impostazione dell’Ue, ovvero meno ideologia e più pragmatismo?
Semplicemente guardando i dati, non nascondendo la polvere sotto il tappeto e avendo il coraggio e anche l’onestà intellettuale di ammettere che l’indirizzo che è stato sposato fino ad oggi è stato completamente fallimentare. Se l’economia non funziona, se l’agricoltura soffre, se i provvedimenti che sono messi in campo vanno contro quelli che sono gli interessi economici e sociali europei è evidente che bisogna prenderne atto e cambiare linea. Sull’immigrazione mi pare che ci siano dei significativi passi in avanti. Tutto è perfettibile, certo, prò il nuovo patto per l’immigrazione, l’asilo e anche i regolamenti che ne anticiperanno alcuni effetti, su uno dei quali sono relatore, quello sui Paesi sicuri, rappresentano un segnale di cambio di paradigma rispetto al passato. Ci si è accorti che il fenomeno migratorio non può essere osservato sotto il profilo ideologico: i risultati non sono arrivati perché non abbiamo una immigrazione di qualità che sia compatibile con la crescita economica del nostro continente, ma una immigrazione disordinata che ha prodotto povertà culturale, economica, degrado e anche spesso l’ingresso nelle maglie della criminalità. Di fronte a questi dati occorre cambiare rotta. La stessa identica cosa vale per gli aspetti di carattere economico: io non credo che il mondo dell’industria, il mondo dell’automotive, il mondo della chimica, il modo della plastica si muovano sulla base di un giudizio di avidità: il rischio è che se non si cambieranno le regole questi settori verranno schiacciati da chi può correre questa gara senza avere i vincoli, i lacci e le barriere che si è imposta la stessa Europa.
Occorre anche cambiare l’architettura, quello che potrebbe nascere da questa alleanza di centrodestra più ampia è una revisione anche dell’assetto dell’architettura europea, ed evitando la verticalizzazione che qualcuno auspica puntando invece su una Europa confederale, secondo un principio che la Meloni ha sintetizzato in maniera perfetta: cioè l’Europa non deve occuparsi di tutti gli aspetti che riguardano la vita delle nostre istituzioni, dei nostri cittadini e delle nostre imprese ma deve occuparsi dei grandi temi del nostro tempo che sono la difesa, la competitività, l’energia, le materie prime, l’immigrazione. E magari anche incominciare a ragionare sul futuro, invece che piagnucolare sui dazi di Trump.
Questo è un momento cruciale per l’Europa. Da un lato c’è chi vorrebbe aumentare il solco tra Europa e Stati Uniti. Dall’altro l’Europa ha esigenza di parlare in maniera multilaterale con tutti i soggetti in campo. In questo senso l’esempio pratico del governo italiano che contributo può dare alle future decisioni europee?
Credo che il modello italiano sia in questo momento seguito con attenzione da tutti i partner europei. È evidente che un’Europa slegata dagli Stati Uniti sarebbe una sciagura dal nostro punto di vista, fermo restando che la politica statunitense, soprattutto per quanto riguarda la difesa o l’attenzione su altri quadranti internazionali, comporterà un disimpegno nei confronti dell’Europa. Noi dobbiamo ragionare con tutti, ma rinunciare ad un ponte con un alleato storico come quello statunitense sarebbe sicuramente una sciagura. E anche qui ritorna il dato politico: chi è che ha questa visione comune? La hanno forse i Verdi? La hanno forse i liberal di Renew? La hanno forse i socialisti che vedono gli Stati Uniti come fumo negli occhi? Ecco, anche in questo caso credo che una riflessione sulla posizione europea rispetto agli scenari geopolitici imporrebbe ai popolare di guardare un po’ più verso il centrodestra e un po’ meno verso degli alleati che, da questo punto di vista, sono totalmente inservibili.
















