Un nuovo fisco prende corpo. Il governo con la manovra punta a bloccare l’aumento dell’aliquota sulle monete virtuali, che altrimenti salirebbe al 33% a partire dal prossimo anno. I cambiamenti arriveranno, invece, sul fronte aureo. Salvo sorprese
Ora che la manovra prende un poco alla volta corpo e forma, va delineandosi il nuovo assetto fiscale su oro e criptovalute. Il primo bene rifugio per eccellenza, prossimo ai 5 mila euro per oncia e da sempre termometro dell’umore di famiglie e investitori. Le seconde, strumento di ultima generazione tra i più discussi di questi tempi: bacillo per la speculazione e il malaffare, o vera ultima frontiera del risparmio? Nell’attesa di capirci qualcosa di più, sulle criptovalute, ecco che fra i circa 6 mila emendamenti presentati alla manovra, che entro poche ore dovrebbero essere scremati per ridurli a poco più di 400, ve ne sono alcuni che trovano il sostegno di tutte le forze di maggioranza ed altri che dividono la coalizione e riguardano il settore delle finanza.
Fra questi, l’ipotesi di un aumento della tassazione delle criptovalute nel 2026, ma anche la tassa agevolata sull’oro. La maggioranza, convocata per un vertice dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del voto in Commissione giovedì, è ormai compatta nel bloccare l’aumento della tassazione delle criptoattività. Una serie di emendamenti presentati da Lega, Forza Italia e la stessa Fratelli d’Italia, ed un emendamento presentato da alcune forze di opposizione punterebbero a bloccare l’aumento dell’aliquota con cui vengono tassate le plusvalenze derivanti da cripto-attività dal 26% al 33%, che dovrebbe scattare dal 1° gennaio 2026, dopo che lo scorso anno il governo ha fermato l’aumento dell’aliquota proposta al 42%. La Lega, in particolare, punterebbe a far slittare l’aumento dal 2026 al 2027.
Fin qui il versante cripto. Poi c’è il capitolo oro. E qui si tratta ancora per la tassa agevolata sull’oro fisico da investimento. La proposta del governo prevede una tassazione agevolata del 12,5% anziché l’aliquota ordinaria del 26% sulla plusvalenza derivante dall’investimento in oro fisico detenuto sotto forma di lingotti, monete e gioielli senza certificato d’acquisto. La misura punterebbe a far emergere gli investimenti nascosti e tassarne le plusvalenze, garantendo una aliquota agevolata, entro il 30 giugno 2026, generando un gettito di circa 2 miliardi.
Più nel dettaglio, i contribuenti che al 1° gennaio 2026 possiedono oro da investimento potranno rivalutarlo entro fine giugno, anche senza documentazione d’acquisto. La rivalutazione servirebbe a fissare un prezzo ufficiale dell’oro e a rendere più chiare le future plusvalenze, evitando contenziosi. Nella logica degli azzurri, tassare l’oro potrebbe essere comunque un buon viatico per sterilizzare sia la doppia imposta sui dividendi societari, sia l’aumento della cedolare secca al 26% sugli affitti brevi relativi alla prima casa.
Ultimo, ma non ultimo punto, la tassazione sui dividendi. La maggioranza resta invece divisa sulla questione dell’aumento della tassazione dei dividendi, che darebbe un segnale negativo ai mercati e agli investitori, disincentivando l’ingresso di capitali in Italia. La tassa sui dividendi distribuiti ai singoli azionisti è pari all’1,2% sulla cedola staccata, ma l’aumento riguarderebbe le holding che detengono partecipazioni inferiori al 10%, che vedrebbero lievitare l’aliquota al 24%.
















