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ll G20 prova a capovolgere il piano di pace per Kyiv. La versione di D’Anna

Alle prese con l’ennesima fuga in avanti di Trump, questa volta con gravi e inaccettabili conseguenze che favorirebbero la Russia e sacrificherebbero l’Ucraina, gli alleati occidentali si accingono a concertare a Johannesburg al vertice del G20 le iniziative per riportare su una linea condivisa le difficili trattative con Mosca. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Peggio della conferenza di Monaco del 1938. Dietro il preoccupato stupore e la cautela diplomatica del premier inglese Keir Starmer, del presidente francese Emmanuel Macron, del cancelliere tedesco Friedrich Merz e dei vertici europei, ricorrono con molti brividi i paragoni fra i 28 punti del piano di pace americano per l’Ucraina, che sembrano dettati da Putin, e il nefasto esito dell’accordo di Monaco che costrinse la Cecoslovacchia a cedere vasti territori alla Germania nazista. Un’imposizione che non scongiurò, anzi accelerò, l’espansionismo di Hitler e provocò l’inizio della seconda guerra mondiale.

Più che interrogarsi su cosa abbia determinato il cedimento dell’amministrazione Trump alla strategia del Cremlino, Londra, Parigi, Berlino e un’attardata Unione europea stanno predisponendo tutta una serie di contromisure, diplomatiche, economiche, militari e di intelligence per scongiurare la tempistica e l’avvio delle terribili condizioni previste per Kyïv dal piano definito senza mezzi termini Putin-Trump.

Una prima valutazione interlocutoria, con un’ implicita valenza dilatoria, sarà espressa dai leader del G20 al vertice sud africano al quale non partecipa il presidente americano. Pur con varie sfumature, il filo conduttore seguirebbe la posizione espressa dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kaja Kallas, secondo la quale un accordo di pace che premiasse l’invasione creerebbe un precedente globale molto pericoloso. “Se ci si arrende all’aggressione, si prefigura altra aggressione”, è la linea condivisa dell’Europa e della Nato.

La complessiva cautela diplomatica evidenziata dall’assenza di critiche palesi ai 28 punti, di quello che dietro le quinte viene considerato un improponibile piano per l’Ucraina, evidenzia l’assetto tattico e strategico di Gran Bretagna ed Europa, della stessa Alleanza Atlantica, nonché degli altri paesi come il Canada e il Giappone che prendono parte al G7, che si preparano a replicare in maniera ancora più ampia e unitaria la moral suasion del vertice alla Casa Bianca del 18 agosto scorso.

Un’intervento dell’intero mondo occidentale che non potrà essere ignorato da un Trump, pur con l’acqua alla gola per le conseguenze dello scandalo Epstein e l’urgenza di conseguire un successo di facciata con una finta pace in Ucraina per superare il momento critico della frana dei consensi causati dalla pesante crisi economica innescata dai dazi, dagli Epstein file e dalla sdegnata rivolta dei suoi sostenitori.

Una pace sulla pelle del popolo ucraino che piaccia o meno al tycoon non sarà consentita dalle maggiori democrazie del mondo. Se non altro perché nonostante le terribili penalizzazione di Kyïv, anche se venissero attuati i diktat di Putin, l’Ucraina si trasformerebbe per la Russia in un gigantesco Vietnam di guerriglia. Una resistenza alimentata all’infinito dall’Europa.

La sprezzante durezza delle ultime dichiarazioni di Trump rivolte a Zelensky, della serie “arrenditi o muori”, rappresenterebbero secondo Londra il tentativo di scoraggiare l’intervento degli alleati occidentali a favore dell’Ucraina. Fra le righe è quello che sottolinea il primo ministro britannico Starmer quando dopo aver auspicato una “pace giusta e duratura” afferma: “Questo è ciò che vuole il presidente americano. Questo è ciò che vogliamo tutti, e quindi dobbiamo lavorare partendo dalla situazione attuale per raggiungere questo obiettivo. Ma il principio secondo cui l’Ucraina deve determinare il proprio futuro sotto la propria sovranità è un principio fondamentale”.

Se la diplomazia e la moral suasion non bastassero a disinnescare l’ennesimo corto circuito fra Trump e Putin, un enigma che inquieta non poco oltre a quella inglese ed europea la stessa intelligence degli Stati Uniti, Macron, Merz, Londra, i Paesi baltici e del nord Europa sarebbero pronti a pianificare una escalation militare a sostegno dell’Ucraina.

Non soltanto l’invio di missili a lunga gittata per colpire Mosca e il territorio russo, ma anche il via libera a tutti i volontari e ai contractors che volessero andare individualmente a combattere a fianco delle forze di difesa ucraine. Un’escalation di combattenti europei, molto più esperti e attrezzati dei soldati russi che farebbe la differenza nell’impedire ulteriori offensive di Mosca e costringerebbe il Cremlino non solo ad un quarto, ma anche ad un quinto e ad un sesto anno di logorante guerra e di ecatombe di soldati.

Una prospettiva reale di emancipazione militare europea e di spaccatura della Nato che non lascia indifferente il Pentagono e che fa apparire del tutto improbabile il successo del brutale ultimatum, stile conferenza di Monaco, lanciato da Trump all’Ucraina per il giorno del ringraziamento.

Un ringraziamento che la Costituzione americana associa idealmente non alla guerra e al sacrificio di un intero popolo, ma esclusivamente alla pace e alla democrazia.


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