Al termine di un anno che ha visto i colossi del Dragone, a cominciare da Catl e Byd, avanzare senza sosta nel Vecchio continente e portare gli investimenti cinesi in Ue a quota 9,4 miliardi, Bruxelles è pronta a stringere ancora di più le maglie. Partendo da un concetto molto semplice. Pechino può e deve investire, ma a un patto: che anche l’Europa ne abbia i suoi benefici
L’anno che ha sancito l’inarrestabile avanzata dell’industria cinese in Europa, dalle batterie alle auto elettriche, passando per i pannelli solari, sta per chiudersi con una nuova barricata ad opera dell’Ue. Nel tentativo, forse disperato, di arginare lo strapotere di Pechino. La quale, come raccontato pochi giorni fa da Formiche.net, non se la passa mica tanto bene: consumi al pale, poche vendite al dettaglio e gli atavici acciacchi del mattone, hanno reso il Dragone più anemico di quello che sembra. Il che ovviamente non gioca a favore dell’Europa, perché aumenta l’aggressività verso i mercati terzi. Come l’Europa.
E così, a Bruxelles si pensa a una nuova forma di contraerea. La Commissione europea sta lavorando, infatti, a una serie di proposte che puntano a impartire una stretta alle regole sugli investimenti esteri diretti, in particolare con l’obiettivo di limitare la capacità della Cina e delle sue aziende di trarre vantaggio del mercato aperto della Ue senza generare benefici per l’occupazione e senza condividere tecnologie. Insomma, se proprio la Cina deve investire in Europa, anche quest’ultima ci deve guadagnare. E mica spiccioli. Tutto parte da un presupposto: lo scorso anno, sempre secondo la stessa Commissione, gli investimenti diretti della Cina nella Ue sono aumentati dell’80% a 9,4 miliardi di euro. Troppo per Bruxelles.
Più ne dettaglio, le regole sono ancora in fase discussione e fanno parte di una serie di proposte che la Commissione farà il mese prossimo per rafforzare la base industriale in difficoltà dell’Europa e segnalare la crescita economica. L’afflusso di prodotti cinesi a basso costo nell’Unione, che è aumentato a causa dell’effetto a catena del regime tariffario del presidente degli Stati Uniti Donald Trump (i dazi americani hanno veicolato le merci fermate alla dogana Usa in Europa), si sta aggiungendo alla pressione cinese sulle industrie, tra cui acciaio e prodotti chimici, che già fanno i conti con alti prezzi dell’energia e complicate regole ambientali, sotto l’insegna del Green new deal.
Per questo l’Europa ha deciso di alzare il livello di protezione. Con il Commissario all’Industria europea, Stéphane Séjourné per i quali i nuovi criteri dovrebbero “assicurare che gli investimenti esteri contribuiscano al funzionamento dell’intera catena del valore europea: ogni investimento cinese Dìdeve essere produttivo per la crescita europea e non solo per la Cina”. Nel mirino sembrerebbe esserci Catl, il più grande produttore di batteria al mondo, che sta piazzando una factory dietro l’altra in Europa, in tandem con Byd, colosso dell’auto elettrica, l’altro unicorno cinese.
Il gruppo delle batterie, avendo già aperto un impianto per batterie per veicoli elettrici in Germania, ora sta costruendo una fabbrica da 7 miliardi in Ungheria e una struttura da 4 miliardi in Spagna. Ed è stato aggiunto a una lista nera del Pentagono di società che si ritiene abbiano legami con l’esercito cinese a gennaio. Ora, per costruire la struttura spagnola Catl vuole portare 2 mila lavoratori cinesi nella regione di Saragozza. Ma rimanendo assolutamente riluttante a condividere i suoi segreti tecnologici più preziosi. E questo all’Ue non sta più bene.
















