Al silenzio del Cremlino sul piano di pace per l’Ucraina corrisponde una accelerazione dell’impegno europeo e in particolar modi della Gran Bretagna a sostegno di Kyïv. L’analisi di Gianfranco D’Anna
“Waddle, Gobble & Volodymyr” è la battuta che circola a Washington. I primi due sono i tacchini che, come è ormai tradizione alla vigilia della festa del Ringraziamento, hanno ricevuto la grazia del presidente americano.
Metaforicamente, il terzo graziato dal tycoon è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che con il sostegno dell’Europa e in special modo del premier britannico Sir Keir Starmer, che ha clamorosamente chiesto di poter inviare truppe britanniche in Ucraina a garanzia della pace, non solo è riuscito a scongiurare il piano di pace capestro dettato dal Cremlino, ma molto meno metaforicamente ha lasciato il presidente russo sulla padella che scotta del Thanksgiving.
Putin si ritrova infatti spiazzato perché non è nelle condizioni di poter accettare le condizioni per porre fine al conflitto in Ucraina, mentre Kyïv è più o meno pronta a ratificare i 19 punti che hanno profondamente rivisto e corretto gli iniziali 28 paragrafi beffardamente sbilanciati su Mosca e che prima ancora di Zelensky sono stati rispediti al mittente da Starmer e dai leader europei.
Nonostante gli sviluppi delle trattative promosse riservatamente ad Abu Dhabi fra i vertici dell’intelligence ucraina e russa dal capo del dipartimento civile dell’esercito statunitense, Daniel Driscoll, e i continui preannunci social di un accordo imminente da parte del presidente Donald Trump, a Mosca ci si è resi conto che l’iniziale adesione al piano dei 28 punti ha sovraesposto Putin sulla ribalta internazionale del miraggio di concrete trattative per la pace in Ucraina.
Una pace che invece il presidente russo non può affatto accettare per il ricorrente motivo che tanto gli ultranazionalisti quanto gli oppositori occulti all’interno del regime lo accuserebbero di essere l’unico responsabile di quella che verrebbe considerata una pesantissima sconfitta.
Dopo il bluff dell’incontro con Trump ad Anchorage e al vertice di Budapest, proposto dallo stesso Putin e poi annullato per il rifiuto di concordare una tregua, il nuovo niet di Mosca imporrà a Washington, che si è vista ancora una volta sbattere in faccia la porta dal Cremlino, l’intensificazione dell’apporto difensivo e dell’assistenza dell’intelligence nei confronti dell’Ucraina e l’inasprimento delle sanzioni economiche, a cominciare da quelle petrolifere.
Al netto dell’imprevedibilità di Trump e della continua e manifesta presa in giro di Mosca, che punta a guadagnare tempo nel tentativo di prevalere militarmente costi quel che costi in termini di perdite di soldati russi, l’evoluzione della situazione internazionale dovrà misurarsi ora con la clamorosa svolta del premier inglese Starmer che, nel corso della recente riunione dei “volenterosi” — tutti i principali Paesi europei che sostengono l’Ucraina — ha chiesto che alla Gran Bretagna sia consentito inviare truppe in Ucraina in base a qualsiasi accordo di pace con la Russia.
Il primo ministro britannico ha esortato gli altri leader mondiali a intensificare la pianificazione per unirsi allo spiegamento, che ha definito una parte essenziale delle garanzie di sicurezza per Kyïv.
Quella di Londra è una svolta che mette di fronte a una definitiva scelta di campo l’amministrazione americana.
“L’intervento di Sir Keir Starmer — sottolinea il quotidiano inglese The Telegraph — potrebbe essere percepito come una sfida diretta a Putin affinché abbandoni le richieste che escludono qualsiasi presenza della Nato sul suolo ucraino dopo la guerra”.
Una sfida che, riecheggiando la caparbietà di Winston Churchill nel fronteggiare il nazismo, Downing Street ha motivato con un netto: “Dobbiamo dimostrare alla Russia che facciamo sul serio. Dobbiamo tornare sulla questione con una forte garanzia politica per dimostrare — ha affermato Starmer — che siamo seri nel rispondere a qualsiasi violazione. E solo se la Russia crederà che stiamo rispondendo seriamente a una violazione, ciò sosterrà una pace duratura”.
Tesi condivisa dal presidente francese Emmanuel Macron, che ha sostenuto come una presenza armata scoraggerebbe la Russia dalla pianificazione di una futura invasione. Macron ha poi rilanciato e ampliato il concetto all’emittente francese Rtl: “Soldati francesi, britannici e turchi saranno presenti quando verrà firmata la pace per condurre operazioni di addestramento e sicurezza”.
Anticipando l’interrogativo sulla reazione di Putin, gli esperti di strategie politico-militari osservano che tanto la Gran Bretagna quanto la Francia sono potenze nucleari, non della stessa dimensione della Russia, ma con sistemi di deterrenza e di risposta missilistica e sottomarina analogamente non intercettabili.
Il cielo sopra Mosca non è mai stato così cupo.







