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Dai prestiti ai pannelli. L’Africa e il nuovo colonialismo cinese

Dopo aver intossicato le finanze del continente, adesso la nuova frontiera del Dragone si chiama fotovoltaico. Una nuova forma di aggressività che, dopo i muri di Italia e Usa, ora si riversa sulle economie in via di sviluppo. In un anno aumentate del 60% le esportazioni di pannelli in Africa

L’Europa ha detto no, gli Stati Uniti non hanno mai nemmeno preso in considerazione l’idea, anche perché la Casa Bianca non ci ha pensato su un solo istante a mettere dazi al 3.500%. E così, per i pannelli solari cinesi, tolta l’Asia, rimane solo l’Africa. Come noto, il Dragone è il principale produttore di pannelli al mondo, anche perché detiene il grosso delle riserve di silicio globali (al punto da riuscire a tenere sotto scacco l’intera industria russa). Per questo, da anni il mondo compra pannelli dalla Repubblica popolare.

Ma c’è chi si è ribellato, come l’Italia che negli ultimi mesi ha tagliato fuori i fornitori cinesi dalla rete di incentivi destinati alle rinnovabili. Per un mercato che chiude la porta, però, ce ne è uno che la apre. Anche perché le cose in Cina non vanno granché bene dal punto di vista del fotovoltaico, con un’offerta superiore alla domanda che ha provocato un crollo dei prezzi e una conseguente crisi del mercato. L’Africa però è lì, pronta ad accogliere a braccia aperte i pannelli cinesi, così come fatto, in buona fede, per lungo tempo con i prestiti piovuti dalle banche controllate da Pechino.

L’energia solare non è una novità per l’Africa. Per oltre due decenni ha contribuito a migliorare la vita degli africani, nelle scuole e negli ospedali rurali, nell’illuminazione stradale, nel pompaggio dell’acqua, nelle mini-reti e altro ancora. Ma fino ad oggi il continente, che vanta il maggiore potenziale mondiale per l’energia solare, è rimasto un fanalino di coda rispetto alla crescita esponenziale di questa tecnologia rinnovabile già registrata in Asia e in Europa. Solo il 4% della produzione solare globale dello scorso anno è stata prodotta in Africa e secondo l’International Energy Agency nel 2023 il Belgio aveva più capacità solare installata dell’Africa intera. Solo il Sudafrica e l’Egitto hanno oggi una capacità solare che si può misurare in gigawatt, anziché in megawatt.

Ma ecco il massiccio afflusso di impianti solari in Africa, rigorosamente made in China. In soli 12 mesi, il Dragone ha spedito nel continente pannelli solari per una capacità complessiva di 15 GW, con un incremento del 60% tra il giugno del 2025 e lo stesso mese dell’anno prima. Di tale capacità una quota consistente (circa 3 GW) proviene da un importante progetto in Algeria . Anche diversi paesi dell’Africa subsahariana stanno guadagnando terreno, tra cui Zambia, Ruanda, Senegal, Costa d’Avorio e Nigeria. Nel complesso, comunque, le nazioni che hanno importato maggiori quantità di tecnologie solari sono il Sudafrica, la Nigeria e l’Algeria, tre delle principali economie del continente.

Ma non solo: nell’ultimo anno ben 25 paesi africani hanno importato pannelli cinesi per una capacità di 100 MW o più. Un anno prima erano solo 15. E anche il Marocco ha recentemente raddoppiato la produzione a 1 GW all’anno, mentre a  breve, in Egitto, entreranno in funzione tre progetti su scala gigawatt che stanno per cambiare l’equilibrio: EliTe Solar (3 GW a partire da settembre 2025) e Sunrev Solar. La Cina, infatti, è nettamente la maggiore produttrice anche dei dei wafer e delle celle che li compongono e degli inverter che li collegano alla rete. La concentrazione di tanta capacità manifatturiera dentro i suoi confini ha fatto crollare i prezzi, con la conseguenza che oggi i pannelli cinesi sono alla portata di tutti, ma ha anche creato l’urgenza di trovare nuovi mercati dove esportare tutto il surplus. In Africa.


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