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L’età dell’oro degli antibiotici è finita? La minaccia dell’Amr

Dalla scoperta accidentale della penicillina alla crisi globale dell’antibiotico-resistenza: una storia lunga meno di un secolo che oggi rischia di invertirsi. Tra numeri allarmanti, superbug emergenti e una pipeline in crisi, l’Amr si rivela la vera sfida del nostro tempo: una minaccia costruita dalle nostre scelte

Neanche cento anni. Per la precisione: novantasei. È questo l’arco di tempo che separa la scoperta della penicillina come antibiotico – grazie all’intuizione quasi accidentale di Alexander Fleming nel 1928 – dalla piena consapevolezza del suo enorme potenziale e, subito dopo, della minaccia insita nel suo stesso successo. Nell’arco di quella che potrebbe essere una vita, l’umanità ha attraversato l’età dell’oro degli antibiotici e ha iniziato a intravedere la possibilità della loro “fine”, o perlomeno del loro indebolimento progressivo.

La storia, come spesso accade in medicina, comincia prima della storia ufficiale. Nel 1923 Philibert Melchior Joseph Ehi Biourge aveva già descritto il fungo penicillium. Ma è Fleming, sei anni dopo, nel suo laboratorio di St. Mary’s a Londra, a intuire che quella muffa produceva una sostanza capace di uccidere i batteri. La chiama penicillina. Il resto – il Nobel condiviso con Chain e Florey nel 1945, la produzione su larga scala, l’esplosione delle aspettative – appartiene alla mitologia della scienza del Novecento. Grazie agli antibiotici, l’aspettativa di vita globale compie un balzo che non ha paragoni con nessun’altra classe di farmaci. Il 1945, con l’introduzione su larga scala della penicillina e l’inizio di quella che verrà poi definita la golden era degli antibiotici, segna l’avvio di un trentennio – dall’inizio degli anni Quaranta alla metà degli anni Sessanta – in cui vengono scoperte e sviluppate la maggior parte delle classi di antibiotici che utilizziamo ancora oggi. È un periodo di entusiasmo, di progresso quasi lineare. Ogni nuova classe è un’arma in più, in grado di ampliare le possibilità terapeutiche e ogni infezione sembra finalmente affrontabile.

Poi, però, qualcosa si inceppa. A partire dalla fine degli anni Ottanta, la produzione di nuove molecole rallenta fino quasi a fermarsi. Dal 1987 si parla di discovery void, un vuoto di innovazione che inizia a pesare sui sistemi sanitari proprio mentre l’antibiotico-resistenza (Amr) – l’altra faccia del successo – comincia a crescere. È da questo punto che la storia cambia direzione. I dati, quelli europei e globali, ci costringono oggi a rileggere l’età dell’oro non solo come un trionfo scientifico, ma anche come una promessa che rischia di non essere mantenuta.

Da qui ripartiamo. Dai numeri che raccontano, meglio di qualunque metafora, quanto velocemente stia cambiando il rapporto tra noi e i patogeni. L’Europa, che per decenni ha potuto contare su sistemi sanitari robusti e su un uso relativamente controllato degli antibiotici, oggi non è più un’oasi protetta: i dati mostrano una crescita costante delle infezioni resistenti e delle morti attribuibili all’Amr. Si tratta sicuramente di un problema clinico, ma ancor di più, di un fenomeno che intacca la sicurezza sanitaria e la sostenibilità dei sistemi di cura.

Dal 2019, l’incidenza stimata delle infezioni del sangue causate da klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi è aumentata di oltre il 60%, nonostante l’obiettivo comunitario fosse quello di ridurle del 5% entro il 2030. Allo stesso modo, le infezioni sostenute da escherichia coli resistente alle cefalosporine di terza generazione sono cresciute di oltre il 5%, a fronte di un target di riduzione del 10%. In altre parole, dove avremmo dovuto vedere un rallentamento, osserviamo invece una nuova accelerazione. Non va meglio sul fronte del consumo di antibiotici. Nel 2024 l’uso complessivo è tornato a crescere, muovendosi nella direzione opposta rispetto all’obiettivo di riduzione del 20%. E mentre l’Organizzazione mondiale della sanità chiede ai Paesi di utilizzare almeno il 65% di antibiotici appartenenti al gruppo “access” – cioè le molecole di prima linea – la quota europea è rimasta ferma attorno al 60%. Nel resto del mondo le cose non vanno meglio. Gli ultimi dati Oms lo dimostrano e, come spesso accade, sono i Paesi con i sistemi sanitari più fragili a pagarne le maggiori conseguenze.

Ma non serve andare lontano nel tempo o nello spazio per immaginare la realtà di un mondo pre-penicillina. Alle porte del nostro continente, in Ucraina, un futuro che temiamo si sta già manifestando. Ricercatori della Sumy State University hanno pubblicato su Communication medicine uno studio che mostra come l’85% delle infezioni rilevate tra i combattenti feriti sia causato da batteri resistenti a più classi di antibiotici. Il patogeno più diffuso è acinetobacter baumannii, un superbug difficile da trattare che l’Oms considera una minaccia critica. Nel 2024, un altro studio pubblicato sul Journal of infection ha descritto numerosi casi dovuti a un ceppo ipervirulento e pan-resistente di klebsiella pneumoniae: resistente, cioè, a tutte le classi di antibiotici disponibili. Un ritorno alla medicina del primo Novecento, ma dentro una guerra del XXI secolo.

Dopo decenni di sottoinvestimento, la pipeline globale degli antibiotici si assottiglia e non corrisponde più alle minacce emergenti. Nell’ottobre scorso, l’agenzia ginevrina ha rilevato come gli antibatterici in sviluppo clinico siano scesi da 97 nel 2023 a 90 nel 2025, avvertendo che la pipeline affronta una doppia crisi: scarsità e mancanza di innovazione. Serviranno miliardi di investimenti e diversi decenni di impegno costante in ricerca e sviluppo per colmare questo deficit. Deficit che si estende anche alle capacità diagnostiche, che richiedono rapidità e affidabilità per identificare precocemente le infezioni, distinguere tra patogeni diversi e orientare l’uso appropriato degli antibiotici, riducendo così ritardi e trattamenti inutili o inefficaci.

Questo quadro globale ha, dunque, reso l’Amr una priorità anche politica. Nel 2024 l’Italia, alla guida del G7 Salute ad Ancona, ha scommesso su un approccio strutturale alla lotta contro la resistenza antimicrobica. Un recente studio pubblicato su eClinicalMedicine ha analizzato i ricavi generati da due antibiotici-chiave utilizzandoli come indicatore della capacità dei Paesi del G7 e dell’Ue27 di sostenere un mercato innovativo e sostenibile per i nuovi antibatterici. Mentre la maggior parte dei governi non ha raggiunto i target previsti, solo Italia e Regno Unito hanno centrato gli obiettivi intermedi, distinguendosi come eccezioni positive in un contesto ancora largamente insufficiente a garantire sostenibilità.

La risposta, tuttavia, non potrà basarsi solo su nuove molecole. Richiede sistemi di sorveglianza più robusti, diagnosi tempestive e accessibili, campagne di prevenzione più efficaci, una corretta stewardship antibiotica e, soprattutto, una responsabilità condivisa tra Paesi, decisori politici, industria, comunità scientifica e cittadini. Se, quasi un secolo fa, una muffa dimenticata su una piastra di laboratorio cambiò il corso della storia, oggi sappiamo che quei progressi non sono irreversibili. Ma non possiamo affrontare l’Amr come un destino biologico, bensì come prodotto delle nostre scelte collettive.

(Pubblicato su Healthcare Policy 17)


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