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Byd brucia le tappe e accende i motori in Ungheria

Il costruttore di Shenzhen accelera i lavori per la sua prima factory in terra europea, in attesa di aprirne altre due. Adesso la pressione cinese sul Vecchio continente è più forte. E Bruxelles dovrà regolarsi di conseguenza

Byd dà un altro colpo di gas. Il costruttore di auto elettriche di Shenzhen che ha ormai messo piede in Europa, ha formalmente avviato la catena di montaggio della sua nuova factory in Ungheria, in attesa di sbloccare quella in Germania e in Spagna. Il 9 dicembre sono state avvistate le prime attrezzature destinate alla nuova linea di produzione di Szeged. Localizzare parte dell’assemblaggio su territorio europeo consentirà all’azienda di evitare i dazi imposti dall’Ue sui veicoli elettrici prodotti in Cina, oggi pari al 10%.

La porta d’Ungheria

La strategia di Byd è fin troppo chiara da tempo. Portare la produzione più vicina al punto vendita permette inoltre di ridurre i tempi logistici e migliorare la percezione del marchio agli occhi dei consumatori europei. Il percorso che ha portato alla realizzazione dello stabilimento è stato scandito da tappe precise: il pre-acquisto dei terreni nel gennaio 2024, la conferma dello stato avanzato dei lavori nel settembre 2025 e ora l’arrivo delle attrezzature. Nonostante le iniziali previsioni indicassero l’avvio della produzione entro la fine del 2025, l’appuntamento pare sia slittato al 2026. L’azienda prevede comunque un periodo iniziale in cui l’impianto lavorerà sotto capacità, così da garantire un avvio stabile e calibrato sulle reali esigenze del mercato.

Di sicuro sarà proprio l’Europa il nuovo terreno di competizione con Tesla, il principale competitor di Byd. Quest’ultima è al momento in netto vantaggio sul costruttore americano. Nei primi 9 mesi del 2025, Byd ha venduto circa 1,6 milioni di auto elettriche mentre Tesla si è fermata nel medesimo periodo poco al di sopra delle 1,2 milioni di unità. Da gennaio a settembre, insomma, il divario tra Est e Ovest nella corsa per le auto elettriche è di 388 mila vetture circa.

Muri d’Europa

E l’Europa, che fa? Non che a Bruxelles se ne stiano con le mani in mano. Se la si vuole buttare sulla leale concorrenza, con la Cina non c’è storia. I costruttori cinesi sfornano più auto e a costi minori, anche se ora le case del Dragone dovranno cominciare a scontare la fermata ai sussidi statali decisa da Pechino, poche settimane fa. Le linee produttive europee, comunque, non stanno ancora lontanamente al passo di quelle cinesi.

Se poi ci si mettono anche i dogmi del Green deal, a cominciare dalla scadenza del 2035, data entro la quale Bruxelles vorrebbe far sparire dal mercato benzina e diesel (lo stesso Alfredo Altavilla, manager ex Fca ora in forza proprio a Byd ha parlato di industria europea dell’auto vicina a punto di non ritorno), ecco che allora non c’è un minuto da perdere. Di qui la sterzata di Bruxelles che starebbe valutando di fissare quote di made in Europe fino al 70% per alcune manifatture, a cominciare proprio dalle automobili. Con l’obiettivo di ridurre in primis la dipendenza dalla Cina.

Un gioco che avrà il suo prezzo e che potrebbe costare alle aziende dell’Ue più di 10 miliardi all’anno spingendole, per esempio, ad acquistare componenti europei più costosi (come le batterie). Ambienti vicini al dossier hanno affermato che le quote di prodotti europei da utilizzare in sostituzione a quelli cinesi verranno decise in base alle criticità dei singoli settori industriali. Basterà a fermare il Dragone e le sue aziende?


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