Lo sciopero generale non risolve i nodi strutturali del Paese. Serve un patto sociale che unisca sindacati, imprese e istituzioni per rilanciare sviluppo e competitività. Scontri rituali e divisioni indeboliscono la rappresentanza e lasciano l’Italia senza una strategia condivisa. La riflessione di Raffaele Bonanni
Lo sciopero promosso da Landini non sposta una virgola nella politica di bilancio. Non è questo il punto, e lo sanno persino le pietre: quando al governo non siedono “amici”, ogni autunno diventa il pretesto per cospargere sale sulle ferite invece di contribuire a curarle. Eppure i problemi di oggi non sono diversi da quelli di ieri. Se davvero si avesse a cuore il benessere del Paese, più che gettare benzina sul fuoco che divampa a danno degli stessi cittadini-lavoratori, si lavorerebbe a soluzioni condivise, insieme agli altri sindacati e alle associazioni imprenditoriali, per costruire convergenze praticabili con il governo.
Servirebbe una proposta unitaria che, in una Repubblica complessa nel suo pluralismo istituzionale, chiami in causa responsabilmente livelli nazionali, regionali e comunali. Non c’è più tempo: troppi nodi sono venuti al pettine, eredità di maggioranze che si sono alternate senza mai scioglierli davvero. E quando qualche sindacato racconta solo una parte della realtà, vuol dire che hanno scelto un terreno che non è il loro.
I ritardi economici e sociali dell’Italia — aggravati da tensioni globali che mordono — chiederebbero collaborazione, non scontri rituali. Per questo le associazioni imprenditoriali e il sindacalismo riformatore farebbero bene a immaginare sedi nuove di confronto e a costruire una piattaforma comune da consegnare alla politica: un piano capace di spostare in avanti l’agenda dello sviluppo, della competitività, della progettazione strategica. Chi, se non loro — attori del lavoro e dell’impresa, meno prigionieri delle beghe della politica — può proporre una direzione quando lo scontro continuo lascia il Paese senza bussola?
Non farlo avrebbe un costo altissimo: l’intero sistema resterebbe ostaggio dell’iniziativa sbagliata di una sola componente sociale, mentre autorevolezza e autonomia di un fronte ben più ampio di rappresentanza verrebbero disperse, ridotte al silenzio. Al contrario, una proposta forte e unitaria potrebbe risvegliare l’interesse dell’opinione pubblica, dare nuova voce ai lavoratori e alle imprese, e perfino far riaffiorare il buon senso nella classe politica. La Costituzione offre ampio spazio alle forze sociali per riequilibrare il potere e contribuire responsabilmente al buon funzionamento delle istituzioni.
Ecco perché un grande patto sociale — orientato a rafforzare i fattori di sviluppo, rilanciare la competitività del sistema Italia, dare dignità e futuro al lavoro — non è un sogno, ma un dovere. Chi preferisce sventolare scioperi generali a ogni piè sospinto continui pure: forse ha altri obiettivi, certo non quelli dei cittadini intrappolati nei disservizi del venerdì, persino nei venerdì sotto Natale.
















