La strategia di Fincantieri tra India e Indo-Mediterraneo, tra cooperazione industriale e sicurezza dei corridoi marittimi e digitali. Al centro, la cantieristica e la protezione delle infrastrutture subacquee come fattori chiave della sicurezza economica europea, spiega l’Evp Cisilino
La regionalizzazione delle catene produttive e il ritorno strategico della cantieristica stanno ridisegnando gli equilibri industriali tra Europa e Indo-Pacifico. In questo scenario, due delle direttrici complementari che sta seguendo Fincantieri diventano un fattore analitico di interesse nazionale: la cooperazione industriale con l’India e la protezione dei corridoi marittimi e digitali che connettono Europa e Asia.
La presenza del gruppo nell’Adriatico resta un pilastro della sua identità mediterranea, il ruolo occupato nel programma strategico di rilancio dello shipbuilding statunitense è un caposaldo, ma il baricentro si estende anche verso Est. L’India, in particolare, rappresenta un mercato e un partner che sta ridefinendo il proprio ruolo globale attraverso la dimensione marittima. Il governo di Narendra Modi – che ieri ha incontrato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in missione in India con la business community italiana – considera la cantieristica parte integrante della sicurezza nazionale e della proiezione nell’Oceano Indiano, un teatro in cui si intrecciano ambizioni industriali, deterrenza navale e la necessità di ridurre la dipendenza tecnologica dalla Cina.
Fincantieri arriva a questa fase con una relazione già consolidata, storica con Nuova Delhi: navi di supporto consegnate alla Marina indiana, accordi con cantieri statali, pacchetti di trasferimento tecnologico, componentistica ad alto valore aggiunto come turbine per applicazioni navali e terrestri. In questo quadro, Claudio Cisilino, Executive Vice President Operations, Corporate Strategy and Innovation del gruppo, sottolinea che l’India rimane per Fincantieri “un mercato finale molto interessante”.
La forte richiesta indiana di localizzazione produttiva e trasferimento tecnologico non è più un’eccezione ma la regola dei programmi militari. Da qui la necessità di una presenza industriale stabile, capace di coprire l’intero spettro delle esigenze della difesa indiana e, allo stesso tempo, di inserirsi in una strategia più ampia che riguarda anche la logistica, le infrastrutture portuali e la sicurezza delle connessioni digitali.
Accanto all’India, il resto del Far East rimane rilevante, con il Vietnam che ospita il cantiere VARD di Vung Tau, oggi la presenza industriale più radicata del gruppo nella regione.
Il secondo pilastro della strategia riguarda la protezione dei corridoi di connettività che tengono insieme Europa e Indo-Pacifico. Non si tratta più soltanto di rotte commerciali, ma di infrastrutture critiche dove flussi fisici e digitali si sovrappongono. I cavi sottomarini, le dorsali dati, i porti e i nodi logistici lungo le rotte che passano per Mar Rosso, Mediterraneo orientale e Alto Adriatico sono oggi aree esposte a minacce ibride e interruzioni potenzialmente sistemiche.
La vulnerabilità di questi snodi è cresciuta con l’intensificarsi degli attacchi degli Houthi e il moltiplicarsi di episodi che dimostrano come un singolo sabotaggio possa rallentare o bloccare catene del valore intere. Oggi i flussi non riguardano solo le merci ma anche le comunicazioni, in un ecosistema che coinvolge attori come pubblici e privati e infrastrutture critiche come i cavi sottomarini. Da qui l’interesse per il corridoio che collega il Nord Europa al Far East passando per l’Alto Adriatico e arrivando in India. È un corridoio geostrategico sia fisico sia logistico, trasmissione dati e trasmissione merci, che attraversa aree molto sensibili. Con diversi hotspot che costellano la rotta: Mar Rosso, aree limitrofe a Israele, Cipro, Mediterraneo orientale. Zone dove l’instabilità può trasformarsi rapidamente in interruzioni delle catene globali del valore. Se non si monitora e protegge, il rischio è che un attacco o un sabotaggio blocchi la catena e metta in crisi interi settori industriali – come appunto accaduto con gli attacchi condotti dai ribelli yemeniti.
In questo scenario si inserisce l’investimento di Fincantieri nella protezione delle infrastrutture subacquee, settore su cui il gruppo e l’intero sistema-Paese stanno accelerando, anche attraverso iniziative come il Polo nazionale della dimensione Subacquea. Cisilino ricorda che “abbiamo un punto forte nella protezione sottomarina, che comprende cavi, gasdotti, oleodotti e gli stessi porti”.
L’azienda ha sviluppato un modello strutturato per la protezione dei nodi marittimi e subacquei, già presentato a livello internazionale — come nel caso del progetto elaborato per Odesa — e replicabile in hub strategici come Trieste, nei porti del Golfo o in India. La logica è chiara: per rafforzare i flussi bisogna prima garantire la sicurezza di ciò che li rende possibili.
India e protezione dei corridoi non sono due percorsi paralleli, ma un’unica traiettoria che unisce mercato, geopolitica e tecnologia. Da un lato, un Paese con grandi ambizioni marittime che cerca partnership affidabili e capacità industriali avanzate; dall’altro, un ecosistema globale in cui la connettività fisica e digitale è diventata una vulnerabilità strutturale da proteggere.
È qui che si colloca una “ambivalenza positiva”: un mercato finale ad alto potenziale, in cui Fincantieri è già posizionata, e un ambito di innovazione — la sicurezza subacquea — destinato a diventare centrale per l’economia europea e per le regioni in cui l’Europa proietta la propria connettività.
L’obiettivo è rafforzare le supply chain non solo attraverso la costruzione di navi o infrastrutture, ma attraverso la protezione dei flussi stessi, fisici e digitali, in uno scenario globale sempre più competitivo e instabile.















