Il voto del Congresso è blindato da un patto tra i due grandi partiti che prevede una rimozione senza condizioni delle sanzioni. Starà alla Casa Bianca riferire ogni mese sui progressi democratici della Siria e sulle sue relazioni pacifiche con i vicini. L’analisi di Riccardo Cristiano
Per la Siria finisce un’epoca, quella delle sanzioni. Il Congresso degli Stati Uniti, dopo il pressing di Donald Trump, ha trovato l’accordo: via le sanzioni che aveva varato per contrastare il regime di Assad e i suoi alleati, Iran e Russia. Il voto è blindato da un patto tra i due grandi partiti che prevede una rimozione senza condizioni. Starà alla Casa Bianca riferire ogni mese al Congresso sui progressi democratici della Siria e sulle sue relazioni pacifiche con i vicini.
Tutto questo avviene in giorni turbolenti, soprattutto per un attentato dell’Isis contro il contingente militare americano presente nel nord est del Paese. Un uomo che aderisce all’Isis ha ucciso tre appartenenti al contingente militare di Washington. Oltre a questo si è saputo che è un membro dell’esercito siriano, definito da fonti siriane un estremista che era stato individuato e stava per essere espulso dall’esercito.
Comunque i siriani fanno sapere che cinque suoi complici sono stati arrestati. Il governo siriano ha aderito alla coalizione internazionale di contrasto al terrorismo, un passo decisivo: è noto che esiste una porosità dei suoi organici militari, visto che al-Sharaa in passato ha militato nell’Isis, poi lo ha combattuto dalle file di al-Qaida, poi ha combattuto entrambe le organizzazioni terroriste prima di marciare alla testa dei suoi su Damasco. Questa porosità dunque non può sorprendere, ma intanto risultati concreti arrivano: i sequestri di carichi di armi destinati ai miliziani di Hezbollah aumentano, nelle ultime ore un carico ingente è stato confiscato dagli uomini di al-Sharaa.
L’urgenza per tutti è che il leader siriano possa rimettere mano al suo esercito messo in piedi precipitosamente per dotarsi di un gruppo armato: ora molti ritengono urgente per lui liberarsi soprattutto dei foreign fighters. Ma la sua intelligence viene ritenuta preziosa, è urgente per gli americani che si stabilisca un coordinamento con i curdi, che dal 2014 hanno gestito sul territorio la lotta all’Isis per conto della Coalizione internazionale di contrasto al terrorismo. I negoziati tra i due, con i curdi che hanno un pieno autogoverno sul nord-est del Paese, sono in corso e progressi importanti sarebbero in definizione sulla confluenza dei curdi nel nuovo esercito siriano. Se dopo mesi di “stop and go” questa volta si sbloccasse qualcosa, sarebbe un passo decisivo. Anche il resto a quel punto potrebbe seguire. I curdi infatti sono ai ferri corti con al-Sharaa sulla forma dello Stato: per i primi, ovviamente, deve essere federale, o decentralizzato, per il secondo deve essere centralizzato.
Autorevoli osservatori statunitensi hanno sostenuto che per Washington sarebbe chiaro che sono più i curdi che devono cedere qualcosa a Damasco più che il contrario. Ma visto che Damasco oggi è saldamente legata alla Turchia e che anche i turchi stanno trattando con i curdi il dopo-guerra civile, è probabile che bisognerà attendere che Ankara risolva i suoi negoziati per vedere una vera luce verde anche a Damasco.
Questo riduce un po’ la portata effettiva della svolta segnata dalla fine delle sanzioni. Lo è, ma è anche vero che molti investitori prima di impegnarsi davvero in Siria attendano segnali concreti di una vera stabilizzazione del Paese.
E per capire come la stabilità non sia una sola, capire qualcosa della nuova struttura del potere siriano aiuta. Al-Sharaa infatti secondo i suoi critici starebbe mettendo al centro del nuovo meccanismo statale quella che chiamano “la famiglia”, ricalcando così il metodo seguito dal suo predecessore, Assad.
Un fratello di al-Sharaa è stato nominato segretario generale del governo, e così i ministri devono attendere il suo benestare anche per le nomine dei loro più stretti collaboratori e di decisioni di loro competenza. Secondo report di stampa un altro parente di al Sharaa sarebbe a capo di una sorta di ministero-parallelo dell’economia, sarebbe in sostanza il regista di quelle scatole cinesi attraverso le quali passerebbe la gestione dei grandi appalti. Un altro congiunto di al Sharaa è governatore di Damasco e dintorni, e così i grandi progetti urbanistici passerebbero attraverso le scatole cinesi cui si è fatto riferimento.
Così le richieste di decentramento dei curdi, anch’esse discutibili, rappresenterebbero un’alternativa anche a questo tipo di centralismo. La Casa Bianca ha dimostrato di non voler favorire la parcellizzazione del territorio lungo linee confessionali. Ne ha parlato l’inviato in Siria (e Turchia) della Casa Bianca, Tom Barrack. L’esempio iracheno non è positivo, ha fatto presente.
La stabilizzazione della Siria è prioritaria anche per la lotta al terrorismo che si alimenta nelle pieghe di milizie e bande armate connesse con narcotrafficanti; evidentemente sfidano al-Sharaa, come dimostrano diverse loro azioni. Il quadro è ancora lontano dall’aver trovato un suo assetto definitivo, il negoziato con i curdi appare quello decisivo, sin qui tutti tengono le loro carte coperte, il secessionismo e il centralismo assolutista sono gli ostacoli da rimuovere, dopo aver risolto la disputa militare e quindi avviato il coordinamento tra le intelligence.
Il sospetto che al-Sharaa abbia anche dei fronti interni da domare lo potrebbe indicare un fatto evidente: tutte le azioni anti-terrorismo del suo esecutivo vengono gestite dal ministero dell’Interno. Quello della Difesa, per qualche motivo, non è mai citato.
















