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Così Riad sostiene le relazioni tra Bengasi e Islamabad

La visita del capo dell’esercito pakistano, Asim Munir, a Bengasi e la firma di un accordo militare con Khalifa Haftar svelano un tassello del nuovo equilibrio regionale promosso da Riad

La visita di questa settimana del capo di Stato maggiore dell’esercito pakistano, generale Asim Munir, a Bengasi ha destato notevole attenzione in ambienti diplomatici e militari.

L’incontro con Khalifa Haftar e con il figlio Saddam, culminato nella firma di un accordo di cooperazione militare, segna un passaggio non solo operativo, ma strategico: da un’intesa tecnica si passa a una partnership strutturata, con implicazioni che travalicano i confini libici.

Secondo diverse fonti locali, la missione di Munir rappresenta il seguito diretto della visita compiuta da Saddam Haftar a Islamabad lo scorso luglio, quando erano stati definiti protocolli di collaborazione nei settori dell’addestramento, della formazione e dell’industria della difesa. La scelta di formalizzare l’intesa sul territorio libico, in un momento di crescente fluidità geopolitica, suggerisce una precisa volontà di proiezione politica.

Secondo Saeed Amghib, membro della Camera dei Rappresentanti libica, la visita, “non è stata fugace o meramente protocollare, ma piuttosto un passo calcolato da parte di una grande potenza nucleare come la Repubblica Islamica del Pakistan, che sa esattamente dove concentrare la propria influenza e con chi costruire partnership e firmare accordi”.

Amghib ha sottolineato in un commento, diffuso tramite il suo account Facebook, che si tratta di un passo significativo che riflette positivamente il lavoro del Comando Generale e che la visita “conferma che l’esercito libico (Lna) si sta muovendo verso la costruzione di solide relazioni internazionali”.

Secondo invece il ricercatore libico per la sicurezza nazionale, Faisal Bu Al-Raiqa, “quando i Paesi parlano il linguaggio della diplomazia silenziosa, non tutte le visite vengono interpretate attraverso le fotografie ufficiali, né tutti i volti che compaiono agli incontri vengono valutati in base alla loro presenza mediatica”.

Bu Al-Raiqa ha sottolineato in una analisi apparsa sui media locali che la visita della delegazione militare e di sicurezza pakistana in Libia porta con sé messaggi più profondi del semplice protocollo, “messaggi non espressi in dichiarazioni ma compresi all’interno degli ambienti decisionali”.

Ha sottolineato che il Pakistan è un Paese che comprende la sicurezza così come viene gestita e sa quando inviare politici, quando schierare personale militare e quando coinvolgere agenti dell’intelligence.

Ha osservato che la visita della delegazione militare pakistana in Libia, con la partecipazione di figure di alto rango dell’intelligence come il Maggiore Generale Faisal Nasser (Direttore del Controspionaggio dell’Isi), “è un messaggio significativo che conferma che il dossier libico non è più gestito attraverso effimeri protocolli politici, ma è entrato a far parte dei calcoli di sicurezza sovrana delle grandi potenze”.

Ha sottolineato che il Pakistan invia i suoi uomini dell’intelligence in prima linea solo quando si stanno elaborando strategie a lungo termine lontane dal rumore, il che riflette un cambiamento strategico che antepone la stabilità e la creazione di istituzioni di sicurezza professionali alle considerazioni dei media.

L’analista politico Hussein Al-Maslati ha infine affermato che la visita fa seguito a quella effettuata da Saddam Haftar in Pakistan lo scorso luglio. Tale incontro ha portato alla firma di un protocollo di cooperazione militare tra i due comandi, aprendo nuovi orizzonti per la partnership nei settori dell’addestramento, dello scambio di competenze e del coordinamento militare tra Libia e Pakistan.

Il contesto: un equilibrio regionale in movimento

La visita giunge in una fase di riassetto del Medio Oriente e del Nord Africa, dove la Libia torna a essere uno spazio di competizione e influenza. Tra i dossier in cima all’agenda vi è il conflitto sudanese divenuto catalizzatore di tensioni tra i principali attori arabi.

Secondo informazioni raccolte da Fawasel, il viaggio di Munir sarebbe avvenuto su impulso di Riad che vede in Haftar una pedina utile per allineare la Libia orientale al blocco saudita–egiziano e ridurre la presa di Abu Dhabi. Le differenze di approccio tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti su questioni sensibili – prima fra tutte il Sudan – si starebbero infatti traducendo in mosse di controbilanciamento silenzioso, di cui la missione pakistana sarebbe una manifestazione.

Il generale Munir, nel corso degli incontri a Bengasi, avrebbe espresso agli interlocutori libici le preoccupazioni saudite per l’escalation in Sudan e per alcune forme di sostegno esterno alle forze sul campo in quel Paese considerate eccessive, segnale di un possibile cambio di tono della diplomazia di Riad nei prossimi mesi.

L’asse Riad–Islamabad e la dimensione americana

Per comprendere il significato profondo dell’iniziativa, occorre guardare anche alla relazione strategica tra Arabia Saudita e Pakistan, culminata a metà settembre nella firma di un accordo di difesa bilaterale a Riad. Quell’intesa ha segnato una svolta nella rete di sicurezza regionale, proiettando Islamabad come potenziale esecutore tecnico delle ambizioni saudite nel quadrante mediorientale e africano.

A rafforzare questa lettura si aggiunge la prossimità di Munir a Washington. Il generale, secondo fonti di stampa internazionale, ha in agenda un nuovo viaggio negli Stati Uniti e ha già incontrato il presidente Donald Trump due volte nei mesi scorsi. Le sue mosse, quindi, non sono mai solo militari: riflettono una fitta trama di equilibri multilivello, con l’approvazione tacita dell’apparato di sicurezza americano, interessato a mantenere stabile il fianco mediterraneo e a contrastare l’espansione di influenza russa e cinese.

La posizione di Tripoli e la ricerca di nuovi equilibri

La visita ha suscitato irritazione nella capitale libica, dove il Governo di unità nazionale (Gun) ha richiesto spiegazioni ufficiali a Islamabad tramite la propria ambasciata. Il gesto dimostra quanto ogni mossa politica o militare verso Haftar continui a ridisegnare i rapporti di forza interni, congelando i tentativi di riavvicinamento istituzionale patrocinati dalle Nazioni Unite.

Per la “leadership della Cirenaica”, l’apertura a Islamabad rappresenta un’occasione per diversificare le partnership di sicurezza, riducendo la dipendenza dagli interlocutori storici – Emirati, Russia e, in parte, Egitto – e inserendosi in una dinamica più ampia di legittimazione internazionale.

Una pedina nel grande gioco

In ultima analisi, la missione di Asim Munir non è soltanto una tappa nel rafforzamento delle relazioni militari tra due Paesi. È il riflesso di un sistema regionale in piena transizione, nel quale la Libia – e in particolare l’Est – diventa campo di sperimentazione per nuove interazioni tra potenze medie.

Il baricentro del mondo arabo sta lentamente oscillando: l’asse Riad–Il Cairo–Islamabad cerca di imporsi come polo alternativo alla triade Abu Dhabi–Mosca–Ankara, mentre Washington osserva e calibra le proprie mosse attraverso canali militari più che diplomatici.

La fotografia scattata a Bengasi, fra le uniformi di Haftar e i sorrisi del generale pakistano, racconta così un presente in mutamento: la politica libica continua a restare nodo cruciale di un gioco più grande, dove ogni alleanza locale riflette una logica regionale – e ogni visita “tecnica” cela un calcolo strategico.


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