Certamente la posizione italiana sul dossier Russia ne esce bene perché è una linea vincente pur senza offendere nessuno e pur rimanendo nel solco della difesa dell’Ucraina. Meloni in visita a Tokyo? Il Giappone guarda con interesse all’Alleanza atlantica. Conversazione con l’esperto diplomatico, già vice segretario generale della Nato, Alessandro Minuto Rizzo
Una vera unione ha nel debito comune una fisologica soluzione, dice a Formiche.net l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo. L’esperto diplomatico, già vice segretario generale della Nato dal 2001 al 2007, consigliere diplomatico dei ministri della Difesa, Nino Andreatta e Carlo Scognamiglio, attualmente presidente della Nato Defense College Foundation, “legge” il Consiglio europeo sia dal punto di vista Ue che italiano, analizzando i passi in politica estera del governo Meloni, con una interessante osservazione sul futuro di Giappone e Nato.
Nell’ultimo Consiglio europeo il pragmatismo raggiunto sull’Ucraina era l’unica posizione possibile?
Secondo me sì, perché è chiaro che la proposta della Commissione, appoggiata da tanti altri Paesi, è perfettamente comprensibile in un’ottica anche giuridica. Non sarebbe stato utile creare un precedente internazionale e poi certamente avrebbe prodotto delle reazioni russe con probabili nazionalizzazioni di beni dei Paesi europei. Per cui la soluzione trovata dal punto di vista italiano va vista sotto due aspetti: uno è l’aspetto comunitario nel senso che si è creato un secondo precedente di debito comune dopo il next generation; e l’altro è quello italiano, visto che il prestito garantito dal bilancio comunitario è ciò che l’Italia ha sempre chiesto ma è sempre stato contrastato dai Paesi cosiddetti frugali.
Quindi una vittoria italiana?
Da questo punto di vista rappresenta un’evoluzione del percorso decisionale dell’Unione europea. Lasciamo stare l’Ucraina per un momento ma, parlando in generale, se noi vogliamo andare davvero verso un’unione, avere prestiti garantiti dal bilancio comunitario non mi sembra una bestemmia. Si tratta di soldi che servono per un periodo limitato: credo che 90 miliardi non sono tantissimi ma neanche pochi per far fronte alle necessità ucraine del 2026 e del 2027. Poi tutto il resto rimane sul tavolo. Non capisco chi critica questa decisione definendola come una mancanza di Europa.
Di fatto è stata sconfitta la linea di Merz e von der Leyen? Questa prudenza è stata usata da Meloni anche nel dossier Mercosur: la condivide?
Guardando ai fatti che sono importanti, soprattutto in politica estera, certamente la posizione italiana sul dossier Russia ne esce bene perché è una linea vincente pur senza offendere nessuno e pur rimanendo nel solco di difendere l’Ucraina. Sul Mercosur il discorso diventa molto tecnico per cui il campanello di allarme degli agricoltori credo vada oltre l’accordo, visto che nel bilancio comunitario il peso dell’agricoltura verrebbe molto ridotto.
Alla Camera Meloni, nelle comunicazioni pre Consiglio europeo, ha detto che “l’Ue è certamente un continente ma soprattutto un contenuto quindi ciò che non funziona si cambia”. A me è venuto in mente il rapporto Draghi ma anche per certi versi e con modi diversi la nuova progettualità della Casa Bianca con il paper di Trump sull’Europa.
Queste tre analisi come possono portare un risultato concreto verso una definitiva riforma europea che programmi le politiche con lungimiranza?
Innanzitutto credo che ci sia molto bisogno nel nostro Paese e, in generale in Europa, di una narrazione un po’ più positiva sull’Europa, perché non facciamo altro che parlare di regolamenti complicati o di difficoltà burocratiche. Sono stato anche direttore degli Affari europei e conosco abbastanza bene la materia: in Italia esisteva il Movimento federalista europeo che è stato un attore importante. Va ricordato. Per cui serve una narrazione più favorevole accanto ad una presa di coscienza: i partiti cosiddetti sovranisti che criticano continuamente l’Unione europea al loro interno ospitano una tendenza basata sul fatto che non si può uscire dall’Ue. Anche le minacce di Trump non avranno successo perché mi sembra che alla fine l’Europa, pur con i cittadini che brontolano e pur con una narrazione poco positiva, resta un punto di riferimento che nessuno intende abbandonare. Quindi tutto diventa più un gioco di politica interna. Per tornare alle riforme che lei citava, la prima credo sia quella dell’unanimità. Adesso noi stiamo andando verso l’allargamento ai Paesi dei Balcani, con Albania e Montenegro che verosimilmente fra tre anni potrebbero diventare membri dell’Unione. Da quel momento in poi non si potrà più andare avanti con l’unanimità ma servirà trovare delle formule che consentano nuove maggioranze.
Un altro tema molto importante è l’imminente visita di Giorgia Meloni in Giappone che assume una rilevanza primaria con il dossier Gcap che svetta su tutti, oltre alla relazione personale tra le due leader. Come sta proseguendo il rapporto tra Roma e Giappone?
Credo che dovremmo tornare indietro nel tempo, perché oggi siamo abituati troppo all’istantaneità. La foto dell’abbraccio tra Meloni e Takaichi è molto importante e significativa, ma il Giappone è storicamente e naturalmente una grande potenza asiatica con cui l’Italia è in linea. La recente dichiarazione della nuova prima ministra giapponese secondo cui se la Cina occupasse Taiwan questo sarebbe un problema di interesse nazionale, è un’affermazione molto forte che nessun altro Paese asiatico si è sognato di fare fino ad ora. Quando ero vice segretario della Nato ricordo che c’era un accordo fra la Nato stessa e il Giappone, per cui era in uso fare un dialogo politico, una volta a Bruxelles, una volta a Tokyo. Ricordo che quando andai per la prima volta in Giappone ero incuriosito dall’atteggiamento dei giapponesi verso l’Alleanza Atlantica e chiesi alla dieta giapponese quali impressione avessero. Mi risposero che è un’organizzazione di successo che riprende molti dei valori della politica estera giapponese. Confesso che mi sorpresi, perché è raro trovare in Asia un’opinione di questo genere così precisa. Tornando alle relazioni fra Italia e Giappone, quindi, se l’Italia riscopre il Giappone penso che sia una cosa abbastanza naturale.
















