Trump ha annunciato una nuova Golden Fleet per la US Navy, con grandi navi da battaglia a suo nome, per rilanciare la cantieristica americana e ridurre il divario con la Cina. Un progetto ambizioso, carico di simbolismo politico, che solleva dubbi sulla sostenibilità industriale e operativa
Il presidente statunitense, Donald Trump, ha annunciato poche ore fa il lancio di una nuova fase di espansione della Marina statunitense, presentando la futura “Golden Fleet”. La flotta rinnovata dovrebbe includere grandi unità di superficie, sistemi senza equipaggio e, soprattutto, una nuova classe di navi da battaglia pesantemente armate che porteranno il suo nome. Le prime due unità della “Trump-class”, a partire dalla USS Defiant, dovrebbero entrare in costruzione a breve, con l’obiettivo dichiarato di arrivare fino a 25 navi.
L’annuncio, fatto dal buen retiro trumpiano a Mar-a-Lago, alla presenza del segretario alla Difesa Pete Hegseth, del segretario di Stato Marco Rubio e del segretario della Marina John Phelan, è carico di significato politico oltre che strategico. Trump ha definito le nuove unità “le più grandi, le più veloci e cento volte più potenti di qualsiasi nave da battaglia mai costruita”, aggiungendo che saranno equipaggiate con armi ipersoniche e sistemi “estremamente letali”, destinate a fungere da ammiraglie della flotta.
Al di là dell’enfasi retorica, della fissazione estetica sull’oro, di qualche imprecisione tecnica subito impallinata dai fanatici dei sistemi d’armi che seguivano il discorso in diretta, il progetto si inserisce in una preoccupazione reale e condivisa a Washington. Lo shipbuilding americano deve ripartire — e in fretta. Una questione non nuova, più volte affrontata da Trump stesso e dal Congresso, e frutto di una consapevolezza schiacciante: c’è un ritardo strutturale degli Stati Uniti rispetto alla Cina nella capacità di costruzione navale. Oltre il 60% degli ordini mondiali di nuove navi è oggi assegnato a cantieri cinesi e la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione è già numericamente la più grande al mondo. Il messaggio di Trump è chiaro da tempo: rilanciare la base industriale marittima americana è una priorità di sicurezza nazionale, oltre che un’opportunità occupazionale.
In un’intervista al Wall Street Journal, Phelan ha spiegato per esempio che il presidente aveva esplicitamente richiesto una nave “grande e bellissima”, evocando una piattaforma operativa simbolicamente potente, capace di incarnare il ritorno della forza marittima statunitense. Non è un caso che Trump abbia insistito sul fatto che le nuove navi saranno costruite negli Stati Uniti, con la creazione di “migliaia di posti di lavoro”, rafforzando il legame tra difesa, industria e politica interna. Uno spazio operativo in cui comunque il know how di “player amici” trova spazi: aziende con Fincantieri sono operative sul territorio Usa e soprattutto sono l’avanguardia del settore, come raccontato su Decode39.
Il piano di espansione, tuttavia, non riguarda solo le grandi unità. Sempre questo mese, la US Navy ha annunciato una nuova serie di navi basate sulla Legend-class National Security Cutter della Guardia Costiera, mentre il capo delle operazioni navali, l’ammiraglio Daryl Caudle, ha sottolineato la carenza critica di piccole unità combattenti di superficie in grado di operare in mare aperto. Una lacuna resa evidente dalle operazioni recenti, dal Mar Rosso ai Caraibi.
Il contesto operativo rafforza la lettura strategica dell’annuncio. Il rafforzamento della presenza navale e aerea statunitense nei Caraibi, sullo sfondo delle tensioni con il Venezuela e delle operazioni contro i traffici di droga via mare, suggerisce una U.S. Navy sempre più chiamata a coprire simultaneamente compiti di alta intensità e missioni di “sicurezza marittima estesa”. Proprio questa pressione operativa è uno degli argomenti usati per giustificare l’aumento numerico e qualitativo della flotta.
La Golden Fleet di Trump è dunque, allo stesso tempo, un progetto industriale, una risposta strategica alla competizione con Pechino, una necessita tattico-operativa e un potente strumento narrativo. Resta da capire se l’ambizione politica riuscirà a tradursi in capacità reali, evitando alcuni errori fatti in passato e confrontandosi con i vincoli tecnologici, finanziari e normativi che oggi rendono la costruzione navale militare molto più complessa di quanto suggeriscano slogan e rendering. In gioco, arrivati a questo punto della narrazione, non c’è solo il prestigio presidenziale, ma la credibilità marittima degli Stati Uniti nel confronto globale che si va delineando.
(Foto: X, @whitehouse)
















