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In Yemen il Consiglio di Transizione Meridionale sfida Riad

Un alto comandante del Primo Distretto Militare yemenita ha accusato le forze del Consiglio di Transizione Meridionale (STC) di aver compiuto esecuzioni sommarie, arresti arbitrari e deportazioni su base regionale contro ufficiali e soldati originari delle province settentrionali. Cosa sta succedendo

Il fragile equilibrio politico e militare dello Yemen subisce una nuova, grave scossa dopo che i secessionisti delle regioni meridionali, sostenuti dagli Emirati, hanno di fatto preso il controllo del territorio di quello che in passato era lo Yemen del Sud. Un alto comandante del Primo Distretto Militare yemenita, in dichiarazioni rilasciate al portale locale “Al-Masdar Online”, ha accusato le forze del Consiglio di Transizione Meridionale (STC) di aver compiuto esecuzioni sommarie, arresti arbitrari e deportazioni su base regionale contro ufficiali e soldati originari delle province settentrionali.

Secondo la fonte, dopo la caduta del quartier generale di Seiyun lo scorso 3 dicembre, sarebbero decine i militari del nord eliminati fisicamente o trasferiti con la forza dalle aree sotto controllo dell’STC. Le informazioni riferiscono di gruppi di prigionieri fucilati e feriti giustiziati, mentre numerosi ufficiali settentrionali sarebbero stati costretti ad abbandonare le proprie case insieme alle famiglie, cercando rifugio a Marib.

Un episodio che sembra confermare un’escalation di violenza senza precedenti tra fazioni nominalmente parte della stessa coalizione del governo “legittimo” contro gli Houthi.

Venerdì scorso, proprio a Marib, si sono svolti funerali solenni per diversi militari “caduti nell’aggressione criminale” – come lo ha definito il portale yemenita “26 September”, portavoce dell’esercito nazionale – nella quale le forze del Consiglio di Transizione Meridionale hanno assaltato le postazioni del Primo Distretto.

Il 13 dicembre, lo Stato Maggiore governativo aveva già denunciato le operazioni militari dell’STC nella regione di Hadramawt, parlando di almeno 32 morti, 45 feriti e numerosi dispersi, con accuse precise di esecuzioni di feriti e prigionieri in violazione delle leggi di guerra.

Il silenzio strategico di Riad e l’intesa di Muscat

Mentre nel sud si consuma lo scontro, nel Golfo si muovono le diplomazie. A Muscat, il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha incontrato il suo omologo omanita Badr bin Hamad Al Busaidi. Ufficialmente, l’incontro ha avuto come obiettivo il consolidamento dei rapporti bilaterali e il coordinamento sulle questioni regionali, in particolare lo Yemen.

Dietro il linguaggio sobrio dei comunicati, tuttavia, emerge un chiaro tentativo di definire una linea politica condivisa tra Riad e Muscat per contenere la destabilizzazione del sud yemenita e avviare, almeno sul piano diplomatico, un processo di armonizzazione tra gli attori del Golfo nel dossier yemenita.

Arhab al Sarhi: “L’Arabia Saudita costretta al riconoscimento dell’STC

Per capire meglio la posta in gioco, Formiche.net ha intervistato Arhab al Sarhi, imprenditore e attivista yemenita, presidente dell’associazione di amicizia Italia-Yemen, che segue da vicino le dinamiche tra Riyadh, Abu Dhabi e le forze sul terreno.

“Ciò che vediamo oggi,” spiega al Sarhi, “non è semplicemente una guerra interna, ma il risultato di un profondo riallineamento delle alleanze. L’Arabia Saudita sta cercando di mantenere l’unità yemenita come condizione imprescindibile, mentre l’Oman le offre una sponda politica. Si tratta di un coordinamento tattico, non militare, ma volto a contenere l’influenza emiratina e del Consiglio di Transizione Meridionale”.

Secondo l’attivista, il STC avrebbe deciso di passare “a una fase di consolidamento amministrativo e di sicurezza, nominando nuovi vertici locali e presentando l’immagine di un autogoverno meridionale”. Tuttavia, aggiunge, “queste mosse restano gesti simbolici finché non arriverà un riconoscimento internazionale. E questo Riyadh non può permetterselo, almeno non ora”.

Al Sarhi sottolinea anche il complesso gioco incrociato tra gli attori yemeniti: “Il partito Islah, legato ai Fratelli musulmani, tenta di spingere il Consiglio di Transizione verso una maggiore aggressività, così da isolarlo sul piano regionale. È una mossa scaltra, volta a privare il STC del sostegno degli Emirati. Ma il vero snodo resta nel Ministero della Difesa a Marib: i comandanti locali stanno aspettando che sia l’Arabia Saudita a decidere se militarizzare o meno la situazione”.

La sua analisi si spinge oltre, toccando anche l’elemento forse più inquietante: “Il silenzio degli Houthi non è casuale. Aspettano che Riad compia un solo passo verso la legittimazione del STC per presentarsi, a livello internazionale, come gli unici difensori dell’integrità territoriale dello Yemen”.

Il governo tra due “colpi di Stato”

In questa cornice si inseriscono le parole del parlamentare di al-Islah, Ali Hussein Ashal, che suonano come un grido d’allarme. In un intervento pubblico ha definito “momento critico e pericoloso” quello che vive oggi il governo legittimo yemenita, “stretto tra due colpi di Stato”: quello degli Houthi a nord e quello, “de facto”, del Consiglio di Transizione Meridionale nel sud.

Secondo Ashal, l’azione dell’STC non rappresenta più una mera divergenza politica, ma “un colpo di Stato completo contro gli accordi firmati, a partire dall’Accordo di Riyad”. Ha ammonito che nessuno Stato può sopravvivere alla moltiplicazione delle forze armate parallele e delle lealtà regionali, chiedendo il ritorno pieno dell’autorità del Consiglio di Leadership Presidenziale guidato da Rashad al-Alimi.

È il sintomo di un crollo progressivo del fronte della “legittimità”, già indebolito da una presidenza collegiale che si è frammentata internamente: degli otto membri originari, tre si sono ormai schierati con l’STC e uno, Tareq Saleh, in bilico tra Mar Rosso ed Emirati, si muove su una linea di equilibrio sempre più sottile.

Un Paese sospeso

Nessuna delle potenze coinvolte sembra oggi pronta a entrare in un nuovo conflitto armato. Riyadh osserva, Abu Dhabi consolida le sue posizioni, gli Houthi tacciono, e il governo “legittimo” si ritira in difesa. Lo Yemen, ancora una volta, rimane sospeso tra guerre civili frammentarie e alleanze mutevoli, dove ogni atto di violenza locale riflette un conflitto geopolitico più ampio e persistente.

Come conclude al Sarhi: “Tutti stanno rimandando il confronto. Ma ogni giorno che passa, lo Yemen si allontana un po’ di più dall’idea di uno Stato unitario”.


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