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Il dramma estero dell’opposizione (che non scalfisce il governo). Scrive Sisci

Meloni mantiene la rotta atlantica ed europea, mentre Pd e M5S restano divisi su Russia, Palestina e rapporti con Washington. Questa ambiguità paralizza l’opposizione e lascia il governo senza veri avversari sul piano internazionale. L’analisi di Francesco Sisci

I risultati del governo di Giorgia Meloni sulla politica interna sono controversi. I critici le imputano indecisione, stagnazione, e lo spreco di una occasione storica di riformare in senso liberale il Paese mettendo a frutto il massiccio aiuto dell’Unione europea con gli oltre 200 miliardi del Pnrr.

Quello che non è controverso però è la capacità di Meloni nel guidare il Paese su una rotta sostanzialmente corretta di lealtà transatlantica ed europeista, giocandosi anche i dissensi interni al governo come margini di manovra con gli alleati.

Non si tratta però di un successo storico, epocale, ma del minimo sindacale. Si tratta di condizione necessaria per accedere alle stanze dei bottoni, se non si vuole imporre un cambio rivoluzionario al Paese. L’opposizione quindi o ammette le stesse condizioni, e poi si differenzia sulla politica interna, oppure decide di chiedere un’alleanza con la Russia, come fece il Pci nel 1948. In questo secondo caso si apra il dibattito nazionale e l’Italia decida come schierarsi.
Ma sia l’una che l’altra scelta appaiono difficili, perché l’opposizione, come il governo, è diviso sull’agenda internazionale. Solo che per il governo il timore di perdere il potere unisce, alla fin fine. Per l’opposizione la brama di prendere il potere invece divide sin dall’inizio.

Questo il motivo centrale dello stallo italiano, e la ragione per cui su Meloni piovono lodi, mentre per l’opposizione, dall’estero, c’è una tempesta di silenzio.

All’opposizione entrambi, Pd e M5S, temono di essere scavalcati dall’altro sulle vicende controverse, ma identificative per certa sinistra, dell’appoggio alla Russia e alla causa palestinese tout court, comprese le simpatie per i terroristi di Hamas.

Qui il leader M5S Giuseppe Conte, con esperienze turistiche all’estero, non fa troppo mistero di avere fili con il presidente americano Donald Trump, controverso a sinistra. Conte non ha niente da perdere e tutto da guadagnare.

Invece la segretaria del Pd Elly Schlein, con cognome esotico, passaporto Usa, ex volontaria della campagna di Obama, è più schiva con l’amministrazione di Washington. Teme di essere additata come amerikana.

Per Conte il gioco è facile: insidia il Pd pronto a superarlo sia a destra che a sinistra, quale che sia la posizione che prenda l’altro. È un avversario prima che alleato. Per il Pd invece uscire da questo stallo è più difficile, servirebbe un colpo d’ala che non ha, e neppure sembra cercare.

In questa inazione, Meloni gioca da sola, senza avere un’altra squadra avversaria in campo. È strano se non fa sempre goal. Naturalmente ha tutto l’interesse che la situazione rimanga così.

Invece a sinistra fanno i calcoli con proiezioni e numeri. Contano che l’opposizione tutta insieme ha più voti del centro destra tutto insieme. Quindi prima si vincono le elezioni e poi si pensa a dividersi, nel caso. Tanto la lealtà atlantica ed europea non è mai stata davvero in questione, dicono tra loro, probabilmente. Può darsi che abbiano ragione. Ma solo questo calcolo etereo apre mille sponde al centro destra per invertire numeri a proiezioni.

Inoltre, una dinamica politica così strutturata lascia il Paese fermo su due temi centrali: le riforme liberali necessarie a dare nuovo dinamismo al paese, e le politiche industriali soprattutto sull’energia. Mentre tante potenze medie oggi lavorano a piani per dotarsi di armi nucleari, l’Italia avrebbe bisogno ora più che mai di centrali atomiche per alleggerire il suo conto energetico. Questi temi, in teoria consoni al centrodestra, non sono affrontati dal governo. L’opposizione non li tocca e tutto resta immobile.


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