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Le troppe omissioni di Matteo Renzi

Parte da Bari la cavalcata di Matteo Renzi alla segreteria del Partito Democratico. Il lessico del rottamatore è quello che tutti conoscono: spiegazioni per punti, metafore, citazioni di scrittori e uomini di fede, esercizi di immaginazione. Il topos è classico come quello usato nel corso delle ultime primarie: si parte con l’attacco alla dirigenza del partito e la critica serrata ad un establishment che ha fallito negli ultimi vent’anni.

E’ un Renzi euforico che parla molto del partito che è “l’unico capace di cambiare verso all’Italia” e manda messaggi più mediatici che reali ai suoi nuovi alleati, su tutti il gruppo che orbita intorno a Dario Franceschini perché sul “carro si spinge e non si sale”. Molto efficace il passaggio sull’Europa per cui l’Unione può essere cambiata dall’Italia solo dopo che quest’ultima sia cambiata con l’avvio delle riforme, che questa Europa debba essere più unita sul fronte della difesa e della politica estera per esercitare un ruolo da protagonista in un mondo globale, veloce e che tende a spostarsi verso est.

Sul fronte mercato del lavoro invece il Sindaco poteva certamente osare di più: nessun accenno alla concertazione e solo una sonora bocciatura della riforma Fornero unita alla sacrosanta ma petulante condanna delle troppe regole dell’occupazione italiana. L’idea di facilitare le assunzioni è senz’altro meritevole, ma si aspetta che Matteo Renzi spieghi come farlo. Sul versante amnistia e indulto il fiorentino dice no a Giorgio Napolitano e cerca poi di recuperare in garantismo con un velato passaggio sull’eccesso di carcerazione preventiva. Nessuna parola su come cambiare davvero il processo penale italiano né un passaggio sulla responsabilità dei magistrati.

A Bari d’impresa non s’è parlato e nemmeno di come ridurre la pressione fiscale, eppure ce ne sarebbe bisogno visto il cimitero produttivo che si sta generando nel Paese. Anche sul sistema tributario che è terreno di scempiaggine, incertezza e paura per il cittadino italiano Renzi ha tranquillamente glissato. Astuto invece il passaggio sulla sussidiarietà come bene comune gestito dai cittadini e produttiva in termini di suggestione il tornare a parlare di scuola, argomento da anni abbandonato, con la luce proiettata sul digitale.

Cavallo di battaglia fuori dagli schemi tipici della sinistra è quello delle riforme istituzionali con fine del bicameralismo perfetto, riforma del titolo V e della legge elettorale che Renzi semplifica con “legge dei Sindaci” tendente al bipolarismo e su questo versante, nonostante la battaglia opposta nello stesso campo di Rodotà e compagni, sembra che stia convincendo anche gli elettori democratici della necessità di cambiare la Costituzione. Sul versante immigrazione non manca la pars destruens nei confronti della Bossi-Fini non è però chiaro come modificare effettivamente il corpo normativo. L’ultima parte del discorso è tutta rivolta al partito, alla sua semplificazione, all’esercizio dell’immaginazione, ad esempi di buona amministrazione in nome della concretezza.

Non una parola però sulle municipalizzate, sulle privatizzazione e liberalizzazioni dei servizi pubblici locali.  Qua e là nel discorso s’insinuano richiami al rapporto tra individuo, società e Stato senza però delimitarne con nettezza i confini. E’ dunque un Matteo Renzi pronto a prendere la Segreteria del Partito Democratico e che sta giocando le sue buone carte per chiudere definitivamente la partita con la nomenclatura. Oggi è aiutato, sul piano nazionale, da un centro debole e che lo guarda con favore e da un centrodestra diviso, ancora intrappolato dal berlusconismo e con difficoltà nel dare risposte.

Il Renzi di Bari è concreto nel costruire consenso, attento alla pancia del partito, forte nel demolire l’establishment e molto più concentrato sulla politics che sulle policies. Oggi, dopo Bari, il suo messaggio riformatore sembra indebolito e meno radicale. E oltre la retorica da campagna per la segreteria, campeggia una domanda che resta sospesa in aria, riuscirà il Segretario Renzi con questa elaborazione politica che sembra a tratti timida e un po’ ristretta a cambiare la visione degli elettori del Partito democratico, a convincere chi non ha mai votato a sinistra e soprattutto cambiare radicalmente verso al Paese?



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