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Immigrazione, basta speculare sui morti di Lampedusa

Due dolorose tragedie del mare nel Canale di Sicilia, avvenute l’una a pochi giorni di distanza dall’altra, sempre nei pressi dell’Isola di Lampedusa, hanno fortemente impressionato e commosso l’opinione pubblica italiana ed europea (le vittime – tante le donne e bambini – si sono contate a centinaia dopo il naufragio delle solite stracolme di esseri umani in condizione di massima insicurezza).

Si è così riacceso il dibattito sull’immigrazione clandestina in quel lembo sperduto di costa che è poi la soglia di accesso in Europa. Nessuno si è dato cura di analizzare ed affrontare una situazione gravissima come quella di tante persone che cercano di sfuggire ad una vita divenuta sempre più dura e difficile in patria, anche a causa del caos che sconvolge – dove sono finiti coloro che inneggiavano al rinascimento arabo? – i Paesi che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo. La prima preoccupazione di una politica imputridita dall’odio è stata quella di usare quei cadaveri e quelle scene orripilanti (descritte puntigliosamente, e a bella posta, dagli inviati dei grandi quotidiani e dei Tg sull’Isola) per condurre l’ennesima faida tutta interna ai confini del BelPaese.

Incomprensibilmente, avvalendosi delle solita catena di affermazioni date per sicure e ripetute all’infinito come se le smentite fossero vili azioni di parte, responsabile di quelle morti è diventata la legge Bossi-Fini del 2002. Addirittura si è attribuito a quel provvedimento, nato da una costola della Legge Turco-Napolitano del 1998, l’introduzione del reato di immigrazione clandestina (che appartiene invece al Pacchetto sicurezza del 2009). E subito, in Commissione Giustizia del Senato una sciagurata maggioranza del tipo di quella inutilmente preconizzata da Pier Luigi Bersani durante i primi 55 giorni d’inizio legislatura (Pd, Sel, M5S e Sc) si è affrettata a votare per l’abrogazione di quella norma, confortata dal parere positivo (sic!) del rappresentante del governo, un sottosegretario messo lì in quota Pdl.

Nessuno, in buona fede, verserà una lacrima se quella norma verrà abrogata in via definitiva. L’introduzione di questo reato, infatti, non ha raggiunto uno degli obiettivi principali che il legislatore si poneva: quello di accrescere l’efficacia delle espulsioni. Invece, alla prova dei fatti, si è avuta ancora una volta la conferma che non dipende dalla severità delle norme la possibilità di espulsione degli stranieri privi dei requisiti d’accoglienza, bensì dalla possibilità di identificarli anche grazie alla collaborazione delle autorità dei paesi d’origine. L’idea che offende la nostra intelligenza è un’altra. E’ sembrato, in queste ultime giornate, che il reato ingresso o permanenza irregolare nel territorio di uno Stato (impropriamente definito “reato di clandestinità”) comportasse di per sé una violazione dei diritti dell’uomo e fosse a causa di quel reato che dei profughi avevano perso la vita tra i flutti.

Invece, tale fattispecie di carattere penale è presente, sia pure in diverse forme, in tutti gli ordinamenti di più antica immigrazione tra cui la Francia, il Regno Unito e la Germania. In altri paesi (della penisola iberica e scandinava e l’Austria) tali reati sono puniti con sanzioni amministrative e con l’espulsione. Il fenomeno dell’immigrazione, comunque, è saldamente intrecciato (non solo da noi, ma più o meno ovunque), con le prassi di clandestinità. Tanto che, in Italia, dagli anni Settanta ad oggi si sono avute ben 11 tra sanatorie, regolarizzazioni o emersioni, che diventano 12 se includiamo la regolarizzazione di fatto del 2006 quando venne esteso a tutti i richiedenti la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno, inizialmente limitato ai 170mila casi contenuti nel decreto flussi di quell’anno. Asher Colombo (nel saggio “Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia”, Mulino 2012) ha calcolato che dei 4,2 milioni di stranieri legalmente residenti in Italia, ben 1,8 milioni sono stati regolarizzati ex post. Un altro aspetto che l’autore mette in evidenza riguarda la circostanza per cui gli stranieri che arrivano in Italia, via mare, sbarcando sulle coste meridionali del paese, sono in numero inferiore di quelli che arrivano da noi con permesso turistico (per poi alla scadenza) o in tanti altri modi.

Se è praticamente impossibile – per motivi demografici, condizioni di vita, ecc. – “fare la faccia feroce” nei confronti dell’immigrazione, anche nei suoi casi di irregolarità, ciò non significa che si debba rinunciare in partenza a darsi una politica, giusta e rigorosa, che tenga insieme gli aspetti dell’accoglienza e quelli dell’integrazione. La legge Bossi-Fini interveniva prevalentemente su quest’ultimo obiettivo, collegandolo strettamente – magari macchinosamente e velleitariamente, ma essere velleitari non significa essere razzisti – alla costituzione preventiva (quale condizione per il permesso di soggiorno) di un rapporto di lavoro (ritenuto il più importante viatico dell’integrazione). Noi abbiamo certamente dei limiti sul versante dell’accoglienza, poiché i 120 milioni che l’Italia dedica a queste politiche non sono una cifra adeguata. Ma in quale Paese è consentito entrare a proprio piacimento, portarvi la famiglia e gli amici e pretendere un trattamento da ospiti di riguardo?

Per quanto riguarda, invece, la fattispecie dei “migranti economici”, l’Italia è pur sempre il Paese che più largheggia, anche in periodi crisi profonda, nel definire i numeri dei decreti flussi. Quanto ai le indagini sono laboriose e complesse e si svolgono insieme all’organizzazione dei rifugiati dell’Onu. Qualche , che in queste ore sta pensando di svolgere queste istruttorie nei Paesi di partenza, non sa quel che dice. In Eritrea è al potere una feroce dittatura; il Somalia è persino chiuso l’aeroporto di Mogadiscio. Ovunque sono in corso – si pensi alla Libia post-Gheddafi (aridatece er puzzone !) – guerre tribali di ogni tipo. Poi, se anche fosse possibile operare tale selezione in partenza e magari caricare i profughi riconosciuti tali sulle navi della Marina Militare (dove stanno coloro che ad ogni piè sospinto vogliono tagliare le spese della Difesa?) chi e che cosa impedirebbero a migliaia di altri “disperati della terra” di imbarcarsi a loro rischio e pericolo sulle bagnarole degli scafisti allo scopo di mettere noi – notte tempo – davanti a fatti compiuti, con tanto di donne incinta, di neonati infreddoliti e disidratati?

A dire la verità, uno che porta un figlio appena nato o una donna all’ultimo mese di gravidanza ad un incontro probabile con una morte orribile, meriterebbe di essere indagato solo per questo. Enrico Letta ha polemizzato, a Lampedusa, con il procuratore capo di Agrigento che aveva applicato la legge indagando i superstiti per immigrazione clandestina. Ha dimenticato, però, che in quel modo il magistrato aveva potuto incriminare l’ignobile scafista, indegno mercante di carne umana, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

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