La Spending review è partita ma qualcosa continua a non quadrare, almeno nelle Regioni e negli enti locali. Mentre la spesa dello Stato si riduce di quasi 10 punti percentuali (dal 66,8 per cento del 1990 al 57,2 del 2010), quella locale aumenta. Secondo i dati forniti dall’Istat, su richiesta della Conferenza Stato – Regioni, dal 1990 al 2010 la spesa corrente, al netto della previdenza, degli interessi e dei trasferimenti tra i diversi livelli istituzionali, è passata dal 79,8 al 83,6 per cento della spesa complessiva.
I dati mettono in risalto come la lievitazione della spesa sia da attribuire esclusivamente alla finanza decentrata, ovvero Regioni, Comuni e Province, è l’opinione del governo Monti. Mentre la spesa degli apparati burocratici centrali è scesa dal 5,3 al 4,7 per cento, quella delle amministrazioni locali ha seguito una traiettoria opposta passando dall’1,9 al 6,5 per cento. La spesa delle Province è passata poi dal 2,4 al 3,6 per cento. Quella delle regioni dall’8,4 al 9,3. Quella dei Comuni, infine, dal 15,3 al 18,8 per cento. “Sono in particolare le miriadi di aziende partecipate – circa 9.000 solo per le Regioni ed i relativi capoluoghi – che ormai disegnano quel ‘socialismo municipale’ dai contorni oscuri e spesso indecifrabili”, spiega a Formiche.net il sottosegretario all’Economia e alle Finanze, Gianfranco Polillo.
Ma occorre valutare sempre con un po’ di cautela, evitando eccessive generalizzazioni.
Primo punto. Una parte della spesa degli enti locali potrebbe essere aumentata in seguito al trasferimento di funzioni, che però spesso non ha semplificato né razionalizzato le corrispondenti strutture statuali, così com’era nelle intenzioni.
Secondo, non facciamo di tutta l’erba un fascio. “In questo coacervo vi sono infatti Enti virtuosi, che spesso non arrivano alla fine del mese e grandi scialacquatori”, spiega Polillo.