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Quando lo shutdown finisce, le lobby giocano

é terminato. Ma è stata dura. Più del previsto. 16 giorni di Shutdown hanno messo al tappeto i servizi pubblici americani, esasperato i contribuenti, fatto fare brutta figura ai membri del Congresso e stremato i lobbisti. Succede questo quando un sistema “puramente” capitalista si arresta: le conseguenze negative, che lo vogliano o no, le subiscono tutti.

Non tutti invece sanno che l’accordo è stato raggiunto, ma ha i piedi di argilla. Repubblicani e Democrats si sono accordati sul calendario più che sulla sostanza. Hanno cioè trovato una convergenza su una serie di scadenze che, da qui a febbraio, segneranno i passaggi (dolorosi, c’è da giurarci) dei tagli al budget federale. Per fortuna che c’è tempo e spazio per la contrattazione, com’è giusto che sia in qualsiasi democrazia. C’è spazio, in sintesi, per i lobbisti.

La carica dei lobbisti sarà spietata, e senza esclusione di colpi. Sono due i settori al centro dell’attenzione. Il primo è la spesa militare: ci sono in ballo 20 miliardi di dollari di tagli possibili alla difesa. Da una parte, i lobbisti del settore vorrebbero dirottarli sulla spesa sociale e l’educazione. I diretti interessati, ovviamente, si oppongono. “A Washington sarà una cacofonia di voci“, ha detto Marion Blakey, a capo dell’associazione delle industrie aerospaziali. Subito seguito dalla AAEP, l’associazione dei pensionati, che ha investito 1 milione di dollari in una campagna radiofonica il cui jingle non lascia spazio a dubbi “Seniors are no bargaining chip!“.

La coperta è corta, e qualcuno rischia seriamente di veder diminuire i fondi, anche nella sanità, il secondo grande problema. Le associazioni a difesa dei malati e dei pazienti sono sul piede di guerra. Gli slogan danno battaglia: “The perfect storm is coming” o “Washington: no more hospital cuts“, per dirne alcuni. La speranza dei lobbisti pro-healthcare è che i repubblicani siano disposti a rinegoziare le loro posizioni sull’Obamacare. Per esempio sulla definizione di full-time worker, che in base alla nuova legge ha diritto all’assicurazione sanitaria pagata (in tutto o in parte) dal datore di lavoro. La proposta è fissare un tetto di 40 ore di lavoro settimanali, allargando la platea dei beneficiari. Misura che, naturalmente, non conviene al business della farmaceutica.

Calendario alla mano, saranno, ad occhio e croce, 6 mesi di passione. Prima che la campagna elettorale cominci a carburare e l’interesse dei media e i soldi prendano nuove strade, c’è da scommettere che il tutti contro tutti di Washington darà filo da torcere ai congressisti, chiamati a scegliere a favore di chi decidere (giocandosi la rielezione) e dei lobbisti, costretti a essere convincenti. Buona fortuna anche ai media, che dovranno raccontare tutto, e ai watchdogs, che dovranno vigilare.

Si salvi chi può? Niente affatto. è questo il bello. La democrazia funziona così.


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