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Una banca verde per la green economy

Ripubblichiamo un intervento di Alessandro Carettoni, consigliere del ministro dell’ambiente Corrado Clini, uscito sul quotidiano Mf/Milano Finanza di ieri, sull´esempio inglese del credito pubblico che sostiene l´energia verde, le incognite in Italia e il ruolo potenziale della Cassa depositi e prestiti.
 
“In Inghilterra da pochi mesi è partita la costruzione di una banca ´verde´ denominata Green Investment Bank (GIB). Ha una particolarità: è pubblica e questo, nel Paese campione della finanza internazionale, è una novità di tutto rispetto. Energie rinnovabili, efficienza energetica, Smart grids, gestione del ciclo dei rifiuti: la Green Investment Bank finanzia progetti in potenziale equilibrio economico/finanziario nel lungo periodo ma per i quali non ci sono le condizioni sufficienti all’investimento autonomo del settore privato. Interviene cioè quando alcune caratteristiche del settore (forti asimmetrie informative, incertezza sulle policy nel lungo periodo, alto contenuto tecnologico ad elevata intensità di capitale…) comportano un pregiudizio alla attivazione dei progetti (a causa di eccessivi costi di transazione, elevato profilo di rischio, dimensione dell’impegno finanziario richiesto).  Il menu degli interventi finanziari a disposizione copre tutto il ciclo di vita dei progetti (costruzione/gestione) e spazia dagli strumenti per il contenimento del rischio dell’investimento (first loss debt), a tutte le diverse tipologie di credito (senior/subordinato), all’eventuale sottoscrizione di capitale di rischio. La flessibilità massima degli strumenti è funzionale all’obiettivo ultimo di attivare e attrarre quanto più capitale privato possibile.
 
La costituzione di una analoga Banca Verde (BV) nel nostro Paese potrebbe non essere una chimera. Assumendo come benchmark il paradigma del GIB, si potrebbe articolare il progetto in tre fasi e su un arco temporale di 5 anni. Nel primo biennio BV opera come “Gruppo di investimento” all’interno di un soggetto pubblico o a controllo pubblico (ad esempio, facendo tesoro dell’esperienza di Cassa depositi e prestiti). Successivamente, ottenute le autorizzazioni comunitarie (aiuti di Stato) e definito un statuto, BV diventa soggetto indipendente con una propria struttura operativa e di governance. Dal quinto anno, BV può aumentare capacità di investimento effettuando “raccolta”sul mercato con diversi strumenti (in pratica diventa una vera banca). In questa transizione, oltre alla ulteriori autorizzazioni necessarie, un fattore critico è la presenza o meno della garanzia dello Stato sui debiti. La dimensione dei fondi pubblici a disposizione dovrebbe crescere nel corso del tempo  ma, fin dai primi anni, il “Gruppo di investimento” dovrebbe avere una capacità di investimento significativa  (ad esempio nell’esperienza inglese si parte con 1 miliardo e euro per arrivare quasi a 4 miliardi a regime).    
 
I passaggi analitici da affrontare ex-ante sono di differenti ordini: economico, finanziario, normativo. E’ evidente che una iniziativa di questo genere richiederebbe un engagement pieno di tutto il governo con un forte supporto delle forze politiche e sociali. D’altra parte la “green economy” non può essere né uno slogan né una ricetta taumaturgica. La riconversione tecnologica e industriale italiana richiede (anche) investimenti strutturali di grandi dimensioni e soprattutto una visione condivisa. In questo senso, l’esperienza inglese della Green Investment Bank rappresenta un modello di intervento pubblico/privato innovativo cui ispirarsi per costruire le condizioni finanziarie che possono rendere sostenibile la competitività dell’industria italiana nel futuro prossimo”.


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