Il regno saudita ha avuto per la prima volta nella sua storia la possibilità di ricoprire la presidenza rotativa del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ebbene, ha rifiutato l’incarico.
Nelle parole riferite dai quotidiani americani, il capo dell’intelligence saudita, principe Bandar bin Sultan, ha voluto segnare un “distacco dagli USA”. Una dimostrazione di insofferenza acuta perché Obama non ha voluto, a suo dire, bombardare la Siria per cacciare Bashar al Assad, e poi ha aperto negoziati riabilitanti con l’arcinemico sciita, l’Iran. A questo si aggiungono le divergenze durante gli eventi in Egitto e in Palestina, che il regno saudita considera sue aree di proiezione geopolitica.
La minaccia implicita del principe saudita agli americani sarebbe di non comprare più armi da loro e di ridurre l’esportazione di grezzo.
Sembra proprio che a Riad si sia persa la testa. Dopo il flop clamoroso delle minacce a Putin per indurlo a non intervenire a sostegno di Assad, adesso gli anatemi contro gli americani sembrano un replay.
A ben vedere, l’Arabia Saudita dispone di sistemi militari (americani, inglesi e francesi) molto sofisticati, ma il suo esercito è a mala pena in grado di usarli per la difesa territoriale. Quanto a proiezione esterna, sono molto lontani dall’essere autonomi. Inoltre, dopo più di 80 anni di “stretta amicizia” con gli USA, i sauditi sanno anche che devono in qualche modo tener buoni i militari dell’alleato, comprando le loro costose armi, per evitare di essere iscritti tra gli obiettivi nemici.
Sebbene, l’Arabia Saudita abbia tentato di trovare nuovi fornitori asiatici, nella realtà continuano a comprare armamenti americani (in questo mese il Pentagono ha notificato al Congresso una vendita ai sauditi per 10.8 miliardi di dollari, per rafforzare le difese in caso di attacco iraniano).