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Il flop dei lealisti e la retromarcia di Berlusconi su Forza Italia

Senza elezioni subito, addio Forza Italia. Potrebbe essere questa la sintesi degli ultimi rumors interni al Pdl, dove sembra che il Cavaliere in persona stia trattando serratamente per allentare la presa dei lealisti, dal momento che non solo è braccato dalle procure (chiesto in rinvio a giudizio per compravendita di senatori) ma anche dal fatto che il lancio della nuova formula di partito sarà con tutta probabilità rimandata alle elezioni europee di maggio. E senza dimenticare cosa sta accadendo in questi giorni al Centro, con il divorzio Monti-Casini.

Flop lealisti
Riforme, quorum per soli 4 voti. Bagarre quindi con le colombe che accusano falchi: un agguato. “Qualcuno ha tentato di far cadere il governo”, ha accusato ieri il senatore Roberto Formigoni. Hanno tentato il blitz un gruppo di lealisti (circa una dozzina) che sulle riforme costituzionali al Senato avrebbero voluto, in sostanza, consegnare al Cavaliere in un sol colpo le teste di Quagliariello, di Letta (e Alfano) e di Napolitano. Ma l’agguato, che il ministro Gaetano Quagliariello ha ribattezzato “il giorno dello Sciacallo” è stato stoppato dalla difesa di Casini e della Lega. Una doppia mossa che ha avuto l’effetto di far intendere a Berlusconi che le distanze sono ormai quasi incolmabili.

Forza Italia come?
Il nodo sarebbe tutto interno all’organigramma, con Berlusconi numero uno e Alfano, nei panni del vicepresidente. Ma la difficoltà delle ultime settimane sembra sia quella di reperire facce nuove e credibili, mormora qualcuno, anche in considerazione del fatto, così come osserva Francesco Verderami sul Corriere della Sera, che il “progetto ha contorni ancora poco chiari”. Contingenza a cui si somma la questione dei poteri nel partito. Di qui gli interrogativi: come potrebbe il vice premier e segretario del Pdl dire sì ad un ruolo secondario nel nuovo contenitore? Si accontenterebbe di dare un parere sulle liste elettorali lasciando il timone a quegli stessi che lui oggi avversa? Dalla loro i forzisti storici che non vedono l’ora di tornare al partito che fu, sbandierano i numeri. E asseriscono che nelle singole regioni i voti sarebbero in mano ai lealisti e non agli alfaniani al governo. Per dirne una, in Puglia e in Veneto il grosso del pacchetto di preferenze ce l’hanno (da sempre) gli ex governatori Raffaele Fitto e Giancarlo Galan. Non in Lombardia, dove è accaduto qualcosa di significativo, con uno spacchettamento al 50% tra Roberto Formigoni e Mariastella Gelmini: non a caso su due fronti contrapposti.

Nuove inchieste
Dopo Napoli, Bari? Altra questione non secondaria, il caso De Gregorio a cui potrebbe far seguito il processo nel capoluogo pugliese (Tarantini) e il voto del Senato sulla decadenza. Una giornata difficile per il cavaliere che ieri, colto forse da un moto di fastidio/disperazione, avrebbe pregato Alfano e Fitto di incontrarsi e parlarsi. Per tentare di appianare dissidi e divergenze e fare fronte comune dopo quest’altra grana giudiziaria.

Vertice
Due ore, però, non sono state sufficienti al vicepremier e al leader dei lealisti per chiarirsi. Troppo distanti le posizioni (azzeramento delle cariche congresso, chiede il pugliese; via i falchi dal Pdl e il direttore del Giornale, replica il ministro dell’Interno). Ragion per cui, nonostante si siano lasciati con l’auspicio di rivedersi la prossima settimana per ragionare di nuovo e nonostante il vessillo finale issato (“l’unità del partito è il nostro valore”) l’impressione è di una balcanizzazione che non potrà che acuirsi, spostando la battaglia (finale?) sul terreno della legge di stabilità. Sarà quella la scintilla che accelererà un processo -nei fatti- già iniziato?



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