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Vi spiego perché il berlusconismo non finirà

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Gianfranco Morra apparso sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi.

Nella riunione dell’ufficio di presidenza del Pdl della scorsa settimana c’è stato un solo attore, un solo capo, una sola voce: «Io mi riprendo il partito». Di fronte ad una platea entusiasta e annuente, consapevole che le sue sorti sono, per ora, tutt’uno con quelle del Capo: approvazione unanime delle sue proposte, tutti per Lui e Lui per tutti. La tonalità del suo discorso è stata quella delle grandi decisioni, sicura, intransigente, apodittica: «Così voglio, così comando» (sic volo, sic jubeo). Viene in mente il titolo del famoso romanzo di Alfredo Panzini: «Il padrone sono me».

È onesto riconoscere la grande «sincerità» del Cavaliere, quella stessa che la sua «vittima» Fini gli attribuisce nelle memorie ora in libreria: «Io, Berlusconi e la destra tradita» (Rizzoli). Forse anche sfrontato e sfacciato, ma chiaro e deciso: «Senza di me nulla potere fare». Il vecchio partito cancellato, il «nuovo» abbozzato con lo schema eterno e immutabile, le cariche tutte sospese meno la sua, per le future deciderà Lui.

Dalla sua discesa in campo nel 1994 ad oggi nulla è cambiato. È il leader più coerente della storia italiana. Anche se nega alla sera ciò che ha detto la mattina, ma solo per conseguire l’unico fine immutabile: il mantenimento del potere. La cosa più interessante per chi si occupa di sociologia politica è che questa sua leadership totale e unica, questo «faso tuto mi» sono apprezzati da buona parte degli italiani, come mostrano i sondaggi, ancora a lui favorevoli. Non è difficile capire perché. Berlusconi piace in quanto è un decisionista per natura e per esperienza di vita. Solo così è riuscito a crearsi un impero tanto ricco ed efficiente. Anche perché l’elettorato è stanco dei partiti di vecchia maniera, che con l’uso opportunistico dei metodi democratici poco facevano e sempre in difesa del loro «particolare».

Non è un caso che i leader moderati sono tutti ai margini (Casini, Fini, Monti), mentre i tre maggiori partiti sono guidati da personaggi autoritari, diversi tra di loro, ma anche simili: il PdL, presto Fi, da Berlusconi, il M5S da Grillo, il Pd tra breve da Renzi (ad essi andrebbe aggiunto il leader pedemontano, Maroni). Più capipopolo che politici razionali, allergici alla democrazia interna, tanto che il loro stile richiama i metodi delle formazioni totalitarie.

Leggi Il commento completo su Italia Oggi



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