Il Datagate come spartiacque di un’epoca in cui, dopo gli eccessi del controllo elettronico, si prova a conciliare sicurezza e libertà.
LA SVOLTA BRITANNICA
Giovedì, in un momento che i media britannici hanno definito “storico”, per la prima volta i capi delle agenzie di intelligence e sorveglianza del Paese sono stati sentiti da una commissione del Parlamento di Westminster, in una udienza pubblica trasmessa in tv, per rispondere a una serie di domande sul ruolo delle loro agenzie nel programma della National security agency.
SICUREZZA VS LIBERTÀ?
Spiegando, con un atto di trasparenza senza precedenti, come le agenzie non ascoltino le telefonate o leggano le email di tutti e che gli apparati di intelligence, pur non potendo spiegare nei dettagli il funzionamento dei programmi di sorveglianza, lavorano con una certa segretezza ma non violano la legge. E che pertanto quello svolto dal Gchq, la Nsa britannica, è “un lavoro che non danneggia la libertà e la democrazia, anzi, fa l’esatto opposto”, mettendo al riparo i cittadini dal rischio di attentati e non solo.
UN CAMBIAMENTO EPOCALE
E il governo italiano non può agganciare in ritardo questo processo di cambiamento, che non riguarda solo l’Europa, e che si è reso necessario dopo che le rivelazioni di Edward Snowden hanno insinuato nell’opinione pubblica il timore di un Grande Fratello che fa e disfa vite e destini nazionali.
Sono “tempi difficili” per l’Intelligence mondiale, come li ha definiti l’autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, Marco Minniti; difficili per tante ragioni, in primo luogo perché il tutto avviene in un mondo in cui non ci sono schieramenti predefiniti, non c’è più un mondo diviso in due blocchi, ma è molto più complesso: un mondo “apolare”, secondo il sottosegretario.
UN PERCORSO INTRAPRESO
Proprio per questo l’Italia deve essere in grado di rispondere all’esigenza di una nuova intelligence più “aperta”, a misura di cittadino, senza però trascurare la tutela della sicurezza e degli interessi nazionali. Gli sforzi, ad oggi, sembrano esserci. Ad esempio l’accordo – in via di definizione – tra Servizi e garante della privacy su un tema centrale come quello della cybersecurity, un esempio forse inedito a livello globale. Ma anche il nuovo equilibrio raggiunto con la riforma dei Servizi realizzata con la Legge 124, che ha impedito, come documentato proprio dalle rivelazioni di Snowden pubblicate dal Guardian, che l’Italia potesse infrangere alcuni paletti per unirsi ad una rete di spionaggio sovranazionale.
LE RELAZIONI ATLANTICHE
Ma il tema è ben più complesso, perché, secondo il governo, di cui Minniti è esponente, oltre una dimensione puramente domestica, il nostro Paese deve trovare il proprio spazio nel solo contesto che oggi può assicurare sviluppo, prosperità e capacità di reggere l’urto della competizione globale e che sembra, dopo il Datagate, essere a rischio: il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico.
Per il sottosegretario “è senza precedenti che l’Unione europea con un documento ufficiale chieda di ristabilire le regole del mondo dell’intelligence innanzitutto nel rapporto con il principale alleato, l’alleato americano”. Un evento mai verificatosi nella Storia, soprattutto perché, come aggiunge l’autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, “facciamo tutti parte della NATO” e che se questo è avvenuto, “dobbiamo avere la consapevolezza che siamo di fronte ad un passaggio strettissimo”. Oltre che delicato, perché dalle reciproche ma disunite rivendicazioni degli Stati membri nasce uno spazio importante per chi, come Cina e Russia, cerca di guadagnare posizioni economiche e politiche sfruttando la frammentazione di Bruxelles.
UN TEMA INELUDIBILE
Ormai è chiaro che le principali democrazie debbano affrontare il tema e, probabilmente, ridisegnare un nuovo assetto dell’intelligence. Hanno annunciato di volerlo fare gli Stati Uniti. È stato formalmente detto, anche dal presidente Barack Obama, che tutto il sistema di intelligence è sotto revisione, e questa – ha spiegato Minniti – “non è una parola semplice per un Paese che ha fatto dell’intelligence la sua principale carta di presentazione nel mondo, nel bene e nel male”.
L’Unione europea, invece, soprattutto dopo le ire dei capi Stato, come Angela Merkel, messi sotto controllo (ma a loro volta controllori), ha chiesto che ci siano regole condivise, che ci sia una specie di “codice di identificazione” di quello che si fa e che non si fa.
IL FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI
E il governo italiano condivide questo approccio. “Il mondo dell’intelligence non può essere una giungla in cui tutto è permesso, tutto è consentito”, ha aggiunto il sottosegretario.
Perché l’interrogativo consueto rimane: nel mondo un po’ opaco delle spie, il fine giustifica i mezzi? Non secondo Minniti. Certo, nel campo dell’intelligence il termine correttezza è un po’ borderline. Però c’è bisogno di riscrivere un pezzo di futuro “garantendo allo stesso tempo sicurezza e libertà”. Un monito, forse, più che un obiettivo, in un mondo sempre più complesso.