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Vespa e Floris, l’eutanasia Tv del potere

Caro direttore,
un´avvisaglia si era avuta con le elezioni del 2008. Star del salotto televisivo come Clemente Mastella (ministro della Giustizia uscente) e Fausto Bertinotti (allora presidente della Camera) furono sonoramente snobbati dagli elettori ed esclusi dal nuovo Parlamento. Allora, eravamo in pochi a sottolineare quanto l´assioma fra pressione mediatica e voti fosse in crisi e che la presenza reiterata in trasmissioni come quella di Vespa fosse più un boomerang che un vantaggio. Lo stesso Silvio Berlusconi, che ora è in crisi ma negli ultimi quindici anni ha dominato la politica italiana, è sempre stato parco di ospitate nei talk show (peraltro dettando lui le regole di ingaggio).
 
Ora tocca a Beppe Grillo (e al suo ideologo, Roberto Casaleggio) scientifizzare la teoria per cui piccolo schermo equivale a piccolo consenso. L´ultimo anatema è stato lanciato dopo che una sua consigliere comunale di Bologna era intervenuta a Ballarò. Prima ancora era stata la polemica contro Giovanni Favia, reo di partecipare a trasmisisoni sulle tv locali.
 
Al di là dei toni usati (il riferimento sessista al punto G dell´orgasmo televisivo è stato particolarmente sgradevole), il capo di M5S non sembra abbia torto, tutt´altro. Come organizzatore di campagne elettorali e formattatore della comunicazione politica, Grillo non è uno sprovveduto ed i suoi numeri lo dimostrano.
 
Lo stesso Matteo Renzi che gode dei consigli di uno esperto come Giorgio Gori appare un passo indietro. Anzi, la sovraesposizione tv del sindaco di Firenze potrebbe alla lunga risultare come il principale freno al suo successo nell´agone delle primarie. Vedremo.
 
C´è un dato di fatto, però. Che i cittadini (elettori) non ne possono più dei politici sempre in tv. I talk show sono la certificazione dell´appartenenza alla Casta, ha spiegato Massimo Gramellini sulla Stampa. Ha ragione. Ma il punto di fondo è un altro, forse. In italia la somma di due anomalie come Rai e Mediaset, due campioni del piccolo schermo con però una non ordinaria dipendenza dalla politica, ha fatto sì che negli ultimi venti anni gli spazi dedicati ai partiti e ai loro rappresentanti si allargassero a dismisura nei già miserelli palinsesti.
 
Ora, anzi già da qualche tempo (e se n´erano accorti in poco), siamo alla crisi di rigetto. Allo stesso modo, però, è evidente che chi vuole rappresentare gli italiani non può restare nascosto nelle pagine web o fare proclami, come Grillo, che sembrano comunicati di terroristi islamici nascosti in non-luoghi, non identificabili.
Democrazia e comunicazione sono elementi in costante, precario equilibrio ed è impossibile definire una regola assoluta che ne regoli la relazione. Quel che però è innegabile che, soprattutto in Italia, occorre ripensare, e profondamente, l´informazione politica e la sua spettacolarizzazione (in prima e seconda serata, in modo particolare).
 
I leader, attuali e aspiranti, farebbero bene a non prendere sottogamba gli strali di Beppe Grillo. E anche Luigi Gubitosi e Fedele Confalonieri dovrebbero pensarci un po´. Quella tv che ha fondato la seconda Repubblica ora la sta affondando. È il bello della diretta.

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