Nel corso delle ultime settimane sono avvenuti due fatti di particolare rilevanza politica: lo scontro Monti-Mauro da un lato e la separazione Alfano-Berlusconi dall’altro.
Sono stati avvenimenti che hanno sostanzialmente caratterizzato da un lato l’insieme delle polivalenze di Scelta Civica e dall’altro le prospettive del passaggio dal Popolo della Libertà a Forza Italia e Ncd.
L’Udc è stata sostanzialmente coinvolta nell’una e nell’altra vicenda, come risulterà sempre più evidente nel corso delle prossime settimane.
Si tratta in sostanza di tre distinte prospettive di passaggio da una centralità sostanzialmente basata sino ad ora sul binomio consenso popolare-leadership carismatica di Berlusconi, a tre tentativi che risultano sino ad ora non sufficienti per poter assicurare individualmente la conquista di una nuova centralità.
Le tre proposte appaiono – estremizzandole ed assolutizzandole in qualche modo – a) quella della società civile; b) quella del popolarismo; c) quella di un nuovo centrodestra.
Nessuna di queste ipotesi appare infatti da sola sufficiente per poter ambire a costituire da sola una vera e propria centralità per i cosiddetti “moderati”.
Una sorta di esclusiva presenza della società civile nelle istituzioni di governo pare infatti la proposta di fondo che è stata all’origine dello scontro tra il tandem Monti-Montezemolo da un lato e il tandem Mauro-Casini dall’altro.
Si tratta di una proposta che talvolta viene illustrata in termini giovanilistici e talaltra in termini di specifiche competenze individuali e di gruppo.
Questa proposta tende in qualche modo ad escludere o le persone che hanno già svolto a lungo un’attività politico-rappresentativa o, ancor di più, le persone che svolgono un’attività politica intesa come professione più ancora che come vocazione.
Occorre aver ben presente che di questa proposta non si può fare a meno nel momento stesso in cui si afferma che essa è di per se stessa inidonea a costituire una nuova centralità sociale-istituzionale.
La proposta che si richiama al popolarismo appare a sua volta inidonea a costituire l’elemento esclusivo di una nuova centralità proprio perché essa deve saper combinarsi sia con le caratteristiche del rinnovamento generazionale, sia con la dimostrata capacità di apprezzamento dei meriti individuali e di gruppo, senza che questi si traducano in vere e proprie caste privilegiate.
Il popolarismo, a sua volta, – soprattutto se si combina con la scelta europeistica del Partito Popolare europeo – deve affrontare di petto la questione della globalizzazione.
Si immagina un popolarismo per così dire universale, che tenga conto della struttura popolare che in tante parti del mondo dà vita ad istituzioni politiche anche molto diverse da quelle sperimentate su gran parte del continente europeo?
L’avvento di un pontefice latinoamericano come Papa Francesco rappresenterà sempre più una distinzione anche politica tra chi si ispira alla dottrina sociale della Chiesa, e che pertanto può definirsi cristiano, da chi appare rimpiangere soprattutto in Italia uno specifico modello organizzativo come capita di ascoltare molto spesso nel rimpianto dei democristiani.
Da don Sturzo in poi sono infatti certamente cristiani i popolari che, a loro volta, non sono necessariamente democristiani.
La proposta di un nuovo centrodestra muove a sua volta da una sorta di pregiudiziale ideologica – quella di avversione a ogni forma di sinistrismo radicata in Italia alla luce del Pci – combinata peraltro con un rapporto molto significativo del consenso elettorale sperimentato nel corso di quasi venti anni.
Queste tre aspirazioni a una nuova centralità devono in qualche modo trovare una capacità di convivenza senza che l’una pretenda di escludere le altre.
All’origine delle scissioni e delle separazioni che sono avvenute nelle ultime settimane dovranno pertanto seguire settimane di costruzione di una nuova centralità.
Si tratta di un’opera certamente difficile, ma non impossibile.