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Così gli Usa diranno (quasi) addio all’Afghanistan

Alla fine del 2014, i circa 80.000 soldati della coalizione guidata dagli USA e dalla NATO dovrebbero ridursi a 8-12.000, con compiti addestrativi e di appoggio logistico, informativo e aereo alle forze afgane. Rimarrebbero però nuclei di forze speciali e velivoli armati senza pilota (UCAV) soprattutto americani, per dare sicurezza al personale militare e civile rimasto e per intervenire contro i rimanenti terroristi di al-Qaeda.

UN NUOVA MISSIONE
Il condizionale è d’obbligo. Della nuova missione di sicuro vi sono solo il nome “Resolute Support” e la decisione che i comandi regionali si ridurranno dai sei attuali a cinque: Italia (Ovest), Germania (Nord), Turchia (Kabul) e USA (Sudest e Sudovest). I compiti operativi – anti-terrorismo e controllo del territorio – stanno passando progressivamente agli afgani. Gli effettivi della coalizione sono già in corso di riduzione. Circa 500 nostri soldati rientreranno in Patria a fine anno. L’Italia cesserà di svolgere compiti operativi ad aprile, dopo le elezioni presidenziali in Afghanistan. Il grosso del contingente sarà ritirato. Rimarranno solo qualche centinaia di soldati italiani.

UN RITIRO GRADUALE
La gradualità del ritiro e la permanenza di capacità addestrative e di supporto, unite alla concessione di aiuti economici annuali per 4 mld. $ per dieci anni, dovrebbero permettere d’evitare quanto avvenuto in Iraq. Il completo e rapido ritiro americano vi aveva creato il caos. Le prospettive in Afghanistan sarebbero ancora peggiori. Si rischia una completa tribalizzazione, come quando gli USA avevano abbandonato nel 1988 gli Afgani al loro destino, dopo il ritiro dell’Armata Rossa. Il conflitto potrebbe estendersi al Pakistan, che ha più di cento testate nucleari. Per Islamabad è difficile contrastare l’insurrezione dei propri Talebani, i quali hanno basi-rifugio anche in Afghanistan. L’instabilità potrebbe poi diffondersi in Asia Centrale. Mosca ne è preoccupata. Ha attivato le sue alleanze eurasiatiche (CSTO e SCO) e ha posto il problema afgano al centro dell’attenzione del Consiglio NATO-Russia. Il rischio di contagio e il traffico di oppio dall’Afghanistan non possono essere eliminati. Forse, spera d’avere l’appoggio dell’Iran, legittimato dal recente accordo transitorio sul nucleare concluso a Ginevra, e protettore degli sciiti – oggetto in Pakistan e anche in Afghanistan di ricorrenti massacri da parte dei radicali sunniti, come sono i Talebani – e dei Tagiki, secondo gruppo del paese, di lingua parsi e di etnia persiana.

DISSIDI INTERNI
Come in Siria, una nuova guerra in Afghanistan non sarebbe solo interna: etnica e confessionale. Inevitabilmente, interverranno potenze esterne. L’Afghanistan diverrebbe teatro di guerre per procura: fra il Pakistan e l’India e anche fra l’Arabia Saudita e l’Iran. Infine, non sono esclusi contrasti anche violenti fra i Talebani afgani e quelli pakistani. Entrambi vogliono la costituzione di uno stato dei Pashtun. Però, i primi sono più nazionalisti, mente i secondi sono più legati ai programmi salafito-qaedisti di unità dell’ummah e di ricostituzione del Califfato. Islamabad controlla meno di un tempo i Talebani afgani. Con il rafforzamento dei Talebani interni, sta pagando un prezzo molto salato per la sponsorizzazione data nel passato a quelli afgani. Di questi ultimi non può però fare a meno. Il loro controllo gli consente una profondità strategica nei confronti dell’India.

L’APPROVAZIONE DEL SOFA
L’inizio della missione Resolute Support dipende dall’approvazione da parte del governo di Kabul del SOFA (Status On Force Agreement). Tale documento definisce in particolare lo status giuridico del personale e il controllo della gestione dei 4 miliardi di dollari annui di aiuti, promessi da Washington. Né gli USA né i loro alleati possono accettare che i loro soldati siano giudicati da tribunali locali. Si tratta di una limitazione della sovranità afgana, peraltro simile a quella vigente tra i paesi NATO. Fu la mancata accettazione di tale clausola da parte dell’Iraq a provocare il completo ritiro USA.

LA BOZZA DI ACCORDO
Una bozza di accordo bilaterale SOFA è stata sottoposta dagli USA al presidente Hamid Karzai (nella foto) che, a sua volta, ha chiesto il parere della Loya Jirga, l’assemblea consultiva afgana di ben 2.500 anziani delle varie comunità, gruppi e istituzioni. Quest’ultima h espresso parere favorevole alla firma dell’accordo, dimostrando di essere realisticamente consapevole che il paese ha bisogno ancora a lungo del un sostegno militare e finanziario della coalizione. Karzai ha però deciso – con grande frustrazione e irritazione del Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Obama, Susan Rice, presente a Kabul per firmare il documento – che l’accordo SOFA venga approvato o respinto solo dopo le elezioni presidenziali di aprile.

LE CONDIZIONI AFGANE
Lo ha certamente fatto per il suo interesse politico interno. Ha poi subordinato la firma dell’accordo a un’altra condizione: che Washington presenti scuse ufficiali per il cattivo comportamento delle sue truppe nei confronti della popolazione afgana. È impossibile che gli USA accettino tale umiliazione. Può anche darsi che Obama ne approfitti per decidere un ritiro completo a fine 2014. È però probabile che prima o poi, dopo aver fatto questa sceneggiata, l’accordo venga firmato dallo stesso Karzai. In caso contrario, non vi è alternativa al completo ritiro di tutte le forze della coalizione e forse anche alla cessazione degli aiuti economici e militari. L’onere di evitare il contagio esterno dell’instabilità afgana ricadrebbe, in tal caso sulla Russia e sui suoi alleati centrasiatici.



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