L’altro giorno sul Corriere della Sera Angelo Panebianco ha spiegato perfettamente che affrontando il caso Berlusconi come ha fatto il Pd e come non sono stati capaci di impedire che avvenisse, Enrico Letta, Angelino Alfano, Gaetano Quagliariello e soprattutto Giorgio Napolitano, si è costruita nel profondo della società una massa di rancore (a mio avviso per molti versi giustificata) che si somma alla protesta già manifesta di Beppe Grillo: al di là degli effetti evidenti sulla governabilità questa situazione ha come sicuro risultato il rendere impossibile l’iter costituente che si era cercato di far decollare con il governo di unità nazionale.
Lo si era già capito quando i soliti magistrati combattenti avevano messo sotto inchiesta alcuni “saggi” consulenti per la riforma costituzionale, essendo per di più in pieno sostenuti dal Csm che è arrivato a censurare due studiosi di fama come Valerio Onida ed Enzo Cheli per un articolo sul Corriere invocante prudenza sul caso ai magistrati inquirenti. Questo “messaggio” è stato poi rinforzato da Matteo Renzi che ha liquidato con fastidio la commissione dei saggi (in evidente spregio innanzi tutto di Napolitano) e ha detto che di giustizia (cioè una delle questioni centrali di un’eventuale riforma costituente) non è tempo di parlare. I nostri riformatori gollisti alle vongole hanno messo la coda tra le gambe e ora parlano di manutenzione della Carta o come fa Emanuele Macaluso di “adeguamento”.
In realtà l’Italia è in crisi perché si esaurito l’antico compromesso tra Dc e Pci sulla parte ordinamentale della Costituzione segnato da scelte determinate dalla Guerra fredda che avevano dato vita a uno Stato dei partiti (e delle corporazioni come la nostra -anomala in Occidente- magistratura) piuttosto che dei cittadini. Finché c’era la Guerra fredda questo sistema era puntellato dall’esterno, finita un’era è crollato nel 1992 e non si è stati in grado di riformarlo a causa dei vari sistemi di influenza nazionale ed estera, delle varie nomenklature (innanzi tutto ex Pci ed ex sinistra Dc che in questo sistema si erano accovacciate) e della forza della magistratura combattente. Tutto ciò ha portato a una crisi della nostra sovranità popolare spingendo la politica a esprimersi non all’interno delle istituzioni ma solo con una sorta di permanente movimentismo (spesso con contorni affaristico-corporativi), facendo prevalere così l’opinione pubblica via media rispetto ai cittadini via politica e partiti non più pervasivi. Questa deriva ha provocato la crisi verticale della nostra sovranità nazionale (oggi contiamo meno della Grecia in Europa) che ci espone in un sistema inquadrato dall’euro a chiunque voglia comandare in casa nostra.
Nella primavera del 2013 dopo il voto si era aperto uno spazio grazie innanzi tutto alla cultura politico-nazionale di Napolitano (e a particolarmente coraggiosi co-protagonisti come Raffaele Bonanni, Luciano Violante e ad alcuni intellettuali di valore del tipo del già citato Panebianco) poi però tutto il sistema di blocco dello Stato italiano (le influenze di vario tipo prima accennate, le varie nomenklature, gli eccitati comitati di affari a cui si sono aggiunti quelli che Giuliano Ferrara chiama i ministerialisti o ancor meglio “gli opportunisti scrocconi”) si è messo in movimento e ci ha riportato allo stallo.
Parte decisiva della responsabilità, in contrappunto ai meriti che aveva acquisito e che gli ho riconosciuto prima, è di Napolitano sia per l’arroganza con cui ha pensato di guidare il processo, scegliendosi un premier debole come Enrico Letta, non aspettando un congresso del Pd, imponendo ministri pasticcioni come i Saccomanni, le Bonino e i Giovannini, e lasciando linciare dal sistema mediatico-giudiziario l’unica con un po’ di coraggio (Anna Maria Cancellieri). Sia per la parallela pavidità con cui non è stato capace di affrontare la controffensiva della magistratura combattente che lo ha schernito (il presidente del tribunale di Palermo è arrivato a dire che ha “cambiato” di fatto la natura della Carta, un chiaro insulto verso chi dovrebbe difenderla fino in fondo), e ha pasticciato incredibilmente nel tentare una qualche gestione del caso Berlusconi, provocando così il crollo di ogni itinerario costituente già impostato.
Come se ne esce? C’è chi immagina esiti rivoluzionari a partire da Grillo. Avendo passato qualche decennio a smettere di essere rivoluzionario, preferirei degli esiti riformistici ma il problema è sempre quello di fare i conti con la realtà effettuale non con quella virtuale che si desidererebbe. E’ evidente che senza cambiare Costituzione noi affogheremo ma è evidente che le Costituzioni -almeno senza i carabineros di Augusto Pinochet o i giovani ufficiali di Mustafa Kemal Atatürk o gli stessi paras di Charles de Gaulle – si cambiano solo con una forte partecipazione popolare. Se per caso rimanesse in vita – cosa che proprio non prevedo – il governino Letta, chi volesse riformare lo Stato dovrebbe puntare almeno su forme di consultazione quale fu il referendum su monarchia-repubblica, l’unica via per avere quel minimo di legittimità politica che “la decadenza” di Berlusconi e l’avventura ministerialista annessa, hanno tolto.
Altrimenti bisognerà cercare di riprendere il filo del ragionamento con i protagonisti che saranno presto in campo cioè con Renzi e Romano Prodi, piuttosto che con i falliti Lettino e Napolitano.