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Luci e ombre della politica estera di Berlusconi

Secondo taluni commentatori, la politica estera dei governi Berlusconi ha rappresentato un netto distacco da quella seguita costantemente dall’Italia nel secondo dopoguerra, dando priorità agli USA e non all’Europa. Secondo altri, le differenze sono state invece solamente di tono e di stile, non di sostanza.

I DUE PILASTRI
Penso che la seconda interpretazione sia esatta e che la politica estera di Berlusconi sia stata caratterizzata da una grande continuità con quella precedente. Nonostante gli stretti rapporti personali con la Russia di Putin e con gli USA di Bush jr., l’Italia ha continuato a mantenersi fedele ai due pilastri tradizionali della politica estera della Prima Repubblica: quello atlantico e quello europeo. Ha poi mantenuto con il mondo arabo eccellenti rapporti. Essi non sono stati incrinati dal miglioramento dei rapporti con Israele.

MAGGIORE PERSONALISMO
Berlusconi ha certamente accentuato il personalismo anche in politica estera. È però una tendenza comune. Nella nostra era dell’informazione, la politica tende a personalizzarsi. Contribuiscono le televisioni, i sondaggi d’opinione e i social network. Essi influiscono sul consenso dell’opinione pubblica loro grado di sostegno dell’opinione pubblica e condizionano le decisioni politiche. Chiaramente, anche per l’azione dei suoi oppositori e per i contrasti con il Capo dello Stato pro tempore – che sembra essere stato all’origine della consegna a Berlusconi di un avviso di garanzia a Napoli, dove presiedeva una conferenza internazionale proprio sulla criminalità – Berlusconi ha accentuato una tendenza comune: quella di privilegiare i rapporti con i Capi di Stato e di governo che gli dimostravano simpatia, come per l’appunto Bush, Putin, Blair e Aznar. Ciò gli permetteva di utilizzare la politica estera per accrescere il consenso interno. Beninteso, in talune occasioni ha esagerato e le sue battute hanno fatto inorridire i compassati diplomatici e mobilitato i suoi critici. Ciò gli ha anche provocato l’opposizione di molti leader europei.

L’ACCUSA DI EUROSCETTICISMO
Sul comportamento di Berlusconi, ha influito l’accusa di “euroscetticismo” spesso rivolta a lui e ai suoi ministri Martino e Tremonti. Non penso che sia così. Molti suoi accenni critici sull’Europa e soprattutto sull’euro sono stati provocati dal fondamentalismo degli euro-ottimisti, che avevano accettato – pur di entrare nella moneta unica – che la lira fosse sopravvalutata del 30 -35%. Non per nulla, a partire dal 1996-97, è incominciato il declino economico italiano. Le esportazioni sono divenute più costose, e i consumatori italiani sono stati invogliati ad acquistare prodotti stranieri. Di questo Berlusconi non è di certo responsabile. Lo è invece di aver destinato alle spese correnti i risparmi (5-6% del PIL all’anno) conseguenti all’entrata nell’euro e ai minori tassi d’interesse sul debito pubblico.

LA VICINANZA ALLA RUSSIA
Le “luci” principali della politica estera berlusconiana sono consistite nel miglioramento dei già buoni rapporti con la Russia e con la Turchia e nel superamento del contenzioso con la Libia. Non è che si sia trattato di geniali intuizioni. Le loro ragioni sono oggettive. Era naturale che l’Italia riscoprisse le vocazioni geopolitiche degli Stati pre-unitari. I suoi buoni rapporti personali con i leader sono stati facilitatori. Su essi non è stata però fondata la politica estera italiana. Con la fine della guerra fredda, con la riduzione dell’interesse degli USA per l’Europa e con il collasso del sistema politico italiano, è terminato il periodo di bipartisanship in politica estera. Gli interventi militari italiani sono stati quasi sempre sostenuti da coalizioni diverse da quelle di* governo. Ogni iniziativa estera è divenuta oggetto di scontro politico. Berlusconi ha spesso aiutato i suoi critici, con le sue cadute di stile e taluni atteggiamenti bizzarri, che verosimilmente riteneva spiritosi, come il baciamano a Gheddafi.

FALSE OMBRE
Le “ombre” della politica estera berlusconiana non mi sembrano quelle, spesso attribuitegli, di aver privilegiato i rapporti con gli USA rispetto a quelli con l’Europa. Berlusconi ha comunque un’attenuante. L’asse franco-tedesco, un tempo motore dell’integrazione europea, si era trasformato. Perseguiva bilateralmente gli interessi nazionali dei due paesi. Fu la Francia – con i Paesi Bassi – a bocciare per referendum il Trattato Costituzionale Europeo, alla cui redazione l’Italia berlusconiana aveva contribuito in modo impeccabile. Le dimissioni del ministro degli esteri Ruggiero per la questione del velivolo da trasporto A400-M dell’EADS non vanno attribuite a Berlusconi o a Martino, ma alla difficoltà di Finmeccanica di collaborare specie con una Francia, troppo ingorda e arrogante. D’altronde, nel settore delle alte tecnologia, anche al tempo della Prima Repubblica, l’Italia si era sempre barcamenata fra gli USA e l’Europa, giocando gli uni contro l’altra e viceversa, in modo da non essere schiacciata da nessuno dei due. Meraviglia – non troppo – che la medesima accusa non sia stata rivolta agli attuali governi per la recente cessione di un’impresa strategica come Avio da parte della GE, preferita alla francese SAFRAN.

L’INSUCCESSO IN IRAQ
Tra gli insuccessi della politica estera berlusconiana va ricordato l’intervento in Iraq. Però, il ritiro del nostro contingente, gestito con indubbia abilità dal ministro degli esteri D’Alema, era già stato programmato da Berlusconi, quando si era accorto che “il gioco non valeva la candela”. È improprio attribuirne il merito al governo successivo. Una seconda ombra è costituita dall’adesione dell’Italia alla coalizione anti-Gheddafi, con il quale avevamo da poco firmato un trattato di amicizia. In quell’occasione Berlusconi non seppe difendere gli interessi nazionali italiani. Ha delle scusanti. Era stato cortocircuitato a Washington, con la promessa di mettere a disposizione le indispensabili basi aeree italiane. I suoi rapporti con Obama erano pessimi. Il vertice politico era diviso, ma propendeva per i franco-inglesi. La colpa di Berlusconi fu quella di non esercitare appieno le responsabilità e i poteri di premier, limitandosi a esprimere dubbi, anziché battere i pugni sul tavolo e giocare la carta delle basi, che probabilmente sarebbe stata vincente per evitare il conflitto e l’imbarazzo di dover tradire un “amico”.


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