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Rivitalizzare il Mar Morto

È stato siglato il 9 dicembre, nella sede della Banca Mondiale di Washington, un accordo tra Israele, Giordania e Autorità palestinesi per avviare un progetto di ripristino dei livelli idrici del Mar Morto.

Il Mar Morto si trova in una profonda fase di disseccamento, con il battente idrico che si abbassa di 1 metro all’anno, circostanza che negli ultimi 40 anni ha prodotto la riduzione del 30 per cento del bacino. La causa principale è la riduzione degli ingressi di portata del fiume Giordano, le cui acque, durante il percorso fluviale, vengono utilizzate – per valori intorno al 90 per cento – per scopi agricoli da Israele, Giordania e Siria.

L’opera presentata a Washington – il nome è “Two Seas Canal” (conosciuta già come “Red-Dead Conduit”) -, prevede la costruzione di una pipeline attraverso la quale viaggeranno 100 milioni di metri cubi d’acqua che annualmente saranno pompati dal Mar Rosso, e che verranno poi trasferiti al Mar Morto tramite condutture lunghe circa 200 chilometri. I lavori, secondo le stime dovrebbe costare sui 400 milioni di dollari e dovrebbero durare da tre a cinque anni.

Il principale problema – posto anche dalle associazioni ambientaliste, come Friends of the Earth Middle East (FoEME) – riguarda il mescolamento tra i due mari. Non è noto infatti, come le acque del Mar Rosso, provenienti sotto forma di salamoie, si integreranno con il particolare ecosistema del Mar Morto – bacino geograficamente unico al mondo, depresso di circa 400 metri sul livello del mare, caratterizzato dal forte accumulo di sali. A questo proposito Alexander McPhail, specialista del servizio acque della Water Practice Division della Banca Mondiale, ha commentato al Jerusalem Post che sono state effettuati già i test (la Banca Mondiale ha pubblicato tre studi sul progetto, uno studio di fattibilità, una valutazione ambientale e sociale, uno studio di alternative strategiche), e che ne verranno eseguiti altri direttamente in sito.

Il punto resta comunque, valutare l’impatto reale e complessivo dei grossi volumi immessi (che in previsione dovrebbero aumentare da 100 a 400 milioni), circostanza praticamente impossibile, se non effettuando il monitoraggio una volta che l’infrastruttura sarà operativa. Inoltre, altre problematiche possono essere legate all’alta sismicità dell’area: in caso di un terremoto, le condutture si potrebbero rompere e versare le salamoie all’interno dei depositi alluvionali attraversati – per esempio quelli della valle di Wadi Araba dove appunto viaggerà la pipeline – alterando, in modo quasi irrimediabile, la composizione delle falde. Critici, inoltre, sostengono che il pompaggio spinto nel Mar Rosso, potrebbe andare a intaccare anche i delicati equilibri della barriera corallina. Dubbi, infine, sono stati anche sollevati sulle reali capacità dell’opera: sembrerebbe da alcune analisi, che i quantitativi necessari sarebbero ben superiori a quello possibili, stimati intorno ai 700 milioni di metri cubi – per altro, tali studi confermano che fino a 400 milioni di metri cubi, la situazione del Mar Morto non subirà sostanziali cambiamenti.

Nell’accordo, siglato dal ministro israeliano dell’Energia Silvan Shalom, Shaddad Attil (capo della Water Authority palestinese) e Hazim el-Naser (capo del Ministero dell’acqua giordano), saranno inclusi anche delle nuove regolazioni in merito alle forniture d’acqua tra i tre Paesi.

La scarsità idrica è una delle principali problematiche presenti nell’area – per questo oltre che al recupero ambientale, l’opera (che viaggerà esclusivamente in territorio giordano), avrà anche una funzione civile, di trasporto di acque potabile. In totale infatti, il pompaggio annuale prevede volumi per 175 milioni: oltre ai 100 impegnati nel Mar Morto, i restanti 75 metri cubi, saranno desalinizzati presso Aqaba (punta settentrionale del Mar Rosso): circa il 50 per cento di queste acque saranno convogliate verso Israele, mentre le altre viaggeranno fino ad Amman, in Giordania. In cambio Israele si impegnerà ad aumentare il rilascio di acqua dal lago Kinneret, da cui vengono già emessi 50 milioni di metri cubi annuali alla Giordania. Sempre Israele dovrà anche aumentare le vendite di acque in Cisgiordania, causa storica di controversie tra le Autorità Palestinesi e israeliani.

 

 



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