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Calcioscommesse, un sistema da serie B

La nuova operazione della Polizia contro le scommesse clandestine nel calcio, per cui risultano indagati anche il campione del Mondo Gennaro Gattuso e l’ex ala di Verona, Inter, Milan e Lazio Christian Brocchi, rafforza l’immagine di un sistema calcio retrocesso nella serie B del continente. E cade nella settimana in cui due delle tre squadre italiane impegnate in Champion’s League (Juve e Napoli) escono di scena, lasciando il solo a Milan a rappresentarci in Europa (una sola squadra come Turchia e Grecia, mentre quattro ne hanno Inghilterra e Germania). Ecco il primo step analitico di un trend in netto peggioramento nell’ultimo decennio, fatta salva l’eccezione dell’Inter nel 2010.

INCHIESTA
Perquisizioni, controlli incrociati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva. Ma il dato che spicca non è solo cronachistico e giudiziario: sarà la procura incaricata a fare luce sui reati ipotizzati. La questione si sposta su un piano meramente economico e sistemico, con l’indagine (gemella rispetto a quella di tre anni fa che ancora presenta strascichi come il derby Bari-Lecce) a fare da apripista per un mercato ormai senza regole. Con precise conseguenze nei bilanci.

DANNO E BEFFA
Un mondo, quello del calcio italiano, dove i ritiri sono “aperti” a intermediari e agenti, con operazioni discutibili in rapporto a qualità e prezzo, con una giustizia che spesso patteggia o chiude gli occhi non rendendosi conto che con questa deriva produce un doppio danno: allunga la distanza tra cittadino e calcio (anche per colpa di stadi pericolosi e non a misura di famiglia che non fanno un solo euro di business) e fa perdere competitività all’intero sistema paese, con il palmares europeo mortificante per i colori italiani.

NO BUSINESS
Il calcio italiano è diventato un mancato business. Le motivazioni? Scarsa propensione ad un lavoro di programmazione manageriale, esigenza di risultati nel breve periodo, poca considerazione per giovani calciatori prima formati e poi svenduti all’estero, come fatto dall’Inter lo scorso luglio con tre quarti della difesa titolare nella Nazionale Under 21 (la stessa della Primavera interista), assenza di una politica impiantistica che coniughi sport ad attività accessorie così come da anni si fa negli stadi inglesi, minima rappresentatività politica internazionale. Il risultato di questa unione di fattori altamente invalidanti per il sistema calcio è una regressione, costante e continuata che non solo non porta a risultati sportivi ma determina anche la disgregazione societaria di alcune realtà.

CAPITALI STRANIERI
Certo, vi sono due esempi in controtendenza che potrebbero far ribaltare la situazione: Inter e Roma sono di fatto guidate da azionisti stranieri, l’indonesiamo Erik Thohir e l’italoamericano James Pallotta. Ma se i nuovi proprietari non vedessero riconosciute le proprie ambizioni, che non si limitano al rettangolo verde ma si estendono a stadi di proprietà, aree commerciali, merchandising, marketing e investimenti oculati, il futuro potrebbe essere ancora più fosco. Con sulla corsia di sorpasso realtà consolidate come quelle russe e turche che, per emergere, non badano a spese. Compresi gli ingaggi milionari di due allenatori, guardacaso italiani, come Luciano Spalletti e Roberto Mancini.

twitter@FDepalo



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