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Vi racconto la lotta di potere attorno a Erdogan

Una democrazia incompleta, con una parte di popolazione non ancora rappresentata. E’ la fotografia della Turchia di oggi “scattata” per Formiche.net da Marta Ottaviani, inviata ad Istanbul per AvvenireLa Stampa che ragiona a trecentosessanta gradi sulla situazione politica del Paese e sul “vaso di Pandora” della corruzione turca appena aperto, provando a immaginare il futuro del leader Erdogan.

Per la prima volta Erdogan sembra con le spalle al muro: come ha osservato Le Monde è il segnale che un modello sta fallendo?
Con tutto il rispetto per Le Monde, io vedo più che altro la mutazione di un modello al momento, con il potere che rischia di passare da una parte all’altra della destra islamica turca.

La rimozione del ministro Begis, delegato ai rapporti con l’Ue, è un’ulteriore dimostrazione di una sofferenza di caratura “europea”?
Penso che l’Europa in questa questione abbia ben poca importanza. Bagis è una delle persone più vicine al premier. Le indagini che lo riguardano sono pesanti e potrebbero aprire un vaso di Pandora. Rimuoverlo è stata una mossa precauzionale doverosa. Erdogan questa volta sta rischiando grosso.

Alle amministrative di marzo il partito Repubblicano del Popolo “rischia” di vedersi legittimato proprio a scapito di quello di Erdogan?
Questo lo vedo ancora abbastanza difficile. Ricordiamo che tutta la lotta è all’interno della destra islamica. Se dovessi fare un pronostico, non direi mai che il voto di protesta possa avvantaggiare i repubblicani del Chp, soprattutto in posti come l’Anatolia. Magari potrà contribuire a fargli tenere roccaforti come Smirne, che sarebbe già un gran risultato. Un discorso a parte merita Istanbul dove si gioca una partita importante e dove il Chp potrebbe avere delle possibilità non solo per lo scandalo in corso, ma per il candidato che ha scelto.

Quante chanche ha oggi la Turchia di proseguire nell’approccio all’Ue nonostante non abbia risolto il nodo Cipro?
Direi poche e non solo per il nodo Cipro. Le rivolte di Gezi Parki dei mesi scorsi hanno dimostrato che la democrazia turca è ancora incompleta e che una parte della popolazione non è di fatto rappresentata. Credo sia questo il problema principale, oltre ovviamente alle riforme democratiche che stentano a decollare.

Quale il ruolo di Gulen nelle presenti frizioni politiche e soprattutto in prospettiva di un ricambio generazionale della classe dirigente legata a Erdogan?
Io più che di ricambio generazionale, parlerei di potere che passa da una parte all’altra. In questo contesto il vicepremier con delega economica, Ali Babacan, giovane ma non una figura nuova, sarà uno degli elementi da tenere d’occhio. Il ruolo di Gulen è forte ed era prevedibile che prima o poi sarebbe intervenuto. Chi si occupa del Paese sa come la polizia sia fortemente permeata di elementi gulenisti e come il Paese della Mezzaluna si fondi da sempre su una rete forte di rapporti clientelari che spesso sfocia in corruzione, basti ricordare come cadde Tansu Ciller. Il problema è che Erdogan sembrava aver costruito un sistema indistruttibile, un partito monolite, ma non ha capito che ormai aveva tirato troppo la corda e che Gulen, seppure dagli Stati Uniti, riesce ancora a esercitare una grossa influenza a distanza di anni.

Gezi Park ha rappresentato l’inizio del crollo di una contraddizione socio-politica?
Gezi Parki è stato un momento fondamentale, il più importante della vita politica turca degli ultimi 20 anni. Tuttavia io non lo legherei per forza agli avvenimenti dei giorni scorsi. La resa dei conti fra Fetullah Gulen ed Erdogan ci sarebbe stata comunque. Solo, con il precedente di Gezi Parki, adesso risalire la china per il premier è ancora più difficile.

twitter@FDepalo



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