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Brasile, da potenza in ascesa a emergente in affanno

L’America del Sud sta attraversando un periodo di profonda trasformazione geopolitica. Fino a tre-quattro anni fa sembrava che il Brasile fosse “il Paese del futuro”. Guidato dal suo carismatico presidente, Lula da Silva, con l’iniziativa dell’UNASUR (Unione delle Nazioni dell’America del Sud) sembrava sul punto d’integrare l’intero subcontinente, trasformandosi da potenza regionale in globale.

LA SUPREMAZIA DEL BRASILE
La supremazia del Brasile era rafforzata dal declino dell’Argentina, suo tradizionale competitore per la leadership dell’America del Sud. L’Argentina aveva già all’inizio degli anni ’30 un reddito pro capite analogo a quello europeo. Era favorita dall’essere in zona temperata, dalla fertilità della pampas e dalla fitta rete di fiumi navigabili, affluenti nel Rio de la Plata, che riduceva il costo di trasporti per accedere ai mercati mondiali. La crisi economica, provocata dal populismo e dai continui disastrosi interventi dello Stato nell’economia, ha impoverito l’Argentina e ne ha ridotto il peso politico.

I PUNTI A SFAVORE
Il Brasile é invece sfavorito dalla geografia: intanto, un terzo del suo territorio è coperto dalla foresta amazzonica e gran parte del resto è situato in zona tropicale; poi, la Grande Barriera, lunga ben 4.500 chilometri, separa non solo il suo interno dall’Oceano, ma i vari porti fra di loro; infine, il cerrado non è fertile come la pampas argentina, le colture tropicali sono meno ricche di quelle cerealicole delle zone temperate e, per accedere al mare e al commercio mondiale, il Brasile doveva utilizzare il Rio de La Plata e i suoi affluenti dall’Argentina. La crisi ha fatto perdere a quest’ultima il controllo della fascia cuscinetto di Stati che circondano il Brasile – Uruguay, Paraguay, a cui va aggiunta la Bolivia. Quest’ultima è sempre più integrata sotto il profilo agricolo e energetico nell’economia brasiliana.

IL FALLIMENTO DEL MERCOSUR
Il MERCOSUR (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, a cui si è recentemente unito il Venezuela) si proponeva di essere una specie di Unione Europea. Esso ha risentito della competizione ancora esistente sotto le ceneri fra il Brasile e l’Argentina. Il peso del primo è ormai dominante, anche per il sostegno indiretto degli USA a Lula per contenere l’antiamericanismo radicale degli Stati della Rivoluzione Bolivariana, largamente finanziati dalla rendita petrolifera del Venezuela. La scoperta di importanti giacimenti sottomarini d’idrocarburi al largo delle coste del Brasile ha consolidato le sue ambizioni di leadership in Sudamerica. Specie durante i due mandati di Lula (2003-10), investimenti massicci esteri hanno migliorato la rete infrastrutturale e consentito l’accesso alle enormi risorse minerarie e la valorizzazione di quelle agricole dell’interno. Il Brasile si era avvantaggiato dall’inesauribile fame di commodities della Cina. Il suo PIL è cresciuto rapidamente. Oggi è il settimo del mondo.

CRESCITA RALLENTATA
La crescita del Brasile, che aveva superato senza gravi problemi la crisi finanziaria mondiale del 2008, ha però subito un forte rallentamento dal 2011. È un fenomeno comune a tutte le economie emergenti e che si accentuerà nel 2014. Nell’anno appena iniziato, l’apporto delle economie OCSE alla crescita del PIL mondiale sarà superiore a quello dei paesi non-OCSE. Tale fenomeno è particolarmente avvertibile nel Brasile, sin dal 2011. Il suo tasso di crescita è crollato dal 7,5% a poco più dell’1%. Le cause sono molteplici: la riduzione degli IDE europei e statunitensi; il fallimento del piano di diversificazione dell’economia, troppo dipendente dall’esportazione di commodities e con un’industria poco competitiva, soprattutto per la scarsa qualità del capitale umano (fanno eccezione pochi grandi gruppi, come il Petrobras e l’Embraer); l’apprezzamento dei “real”, rivalutatosi a causa dell’eccessivo afflusso di capitali stranieri – con conseguente penalizzazione delle esportazioni – e lo scarso sviluppo dell’industria per beni di consumo, che non regge l’importazione massiccia di prodotti cinesi.

PRESTIGIO IN CALO
Il prestigio del Brasile si è così ridimensionato in ambito sia regionale che globale. Ha contribuito anche il fatto che il nuovo presidente, Dilma Rousseff (nella foto), non possiede il carisma che aveva consentito al suo predecessore di tenere sotto controllo una difficile situazione politica interna. La coalizione di governo comprende dieci partiti, di cui vanno soddisfatti appetiti economici e interessi elettorali. Il Brasile è stato costretto ad adottare misure protezionistiche, con conseguente maggiore difficoltà a partecipare ai flussi mondiali di ricchezza, attirati dal liberismo e dalla deregolamentazione degli altri Paesi emergenti, anche di quelli dell’America Latina, facenti parte dal 2012 dell’Alleanza del Pacifico (Cile, Perù, Colombia e Messico, a cui dovrebbero aggiungersi Panama e Costa Rica). Essi cercano di utilizzare al massimo le opportunità offerte dal mercato del sistema Asia-Pacifico e dal Pivot on Asia del presidente Obama, la cui componente economica è rappresentata dalla TransPacific Partnership (TPP).

LA GEOPOLITICA DEL SUDAMERICA
La geopolitica dell’America del Sud sta subendo una nuova profonda trasformazione. L’antiamericanismo – esploso dopo la fine della guerra fredda e la “terza ondata della democratizzazione” che aveva interessato l’intera America Latina – ha fatto scomparire i sogni dell’unità delle due Americhe (o dell’“emisfero occidentale”), preconizzata dalla Dottrina Monroe e che gli USA avevano tentato di attuare con l’Organizzazione degli Stati Americani” (OAS) , rilanciata dall’Alleanza per il Progresso di Kennedy e, ultimamente dal Summit delle Americhe e dalla Carta della Democrazia Panamericana, di Bush jr. Finiti o quantomeno ridimensionati nella loro reale rilevanza sembrano anche il Gruppo Andino (Cile, Perù e Colombia) e l’Alleanza della Rivoluzione Bolivariana (Venezuela, Cuba Bolivia, Equador, e qualche staterello dell’America centrale e Caraibica). In crisi sembra anche il tentativo di unificare con l’UNASUR l’intero subcontinente, come sperava Lula.

IL DIVARIO TRA ATLANTICO E PACIFICO
Di fatto, si sta determinando un divario fra gli Stati dell’Atlantico, con forte influenza dello Stato nell’economia, e quelli del Pacifico, più liberisti, più integrati nella globalizzazione e più legati agli USA. L’unità del Sudamerica rimarrà un progetto irrealizzato. Di fatto, il subcontinente si dividerà, grosso modo lungo la Cordigliera delle Ande, fra gli Stati che parteciperanno appieno alla TPP e quelli facenti parte del MERCOSUR. Il Brasile dovrà di accontentarsi dell’egemonia su quest’ultimo, anche se politicamente non potrà abbandonare le sue ambizioni di essere uno dei pilastri del nuovo ordine mondiale (Consiglio di Sicurezza; G-20; BRICS; IBSA-accordo fra India, Brasile e Sudafrica; attivismo in Africa, ecc.).

L’IMPORTANZA DELL’ECONOMIA
Determinante sarà la realtà dell’economia: nel 2014 l’aumento dell’apporto al PIL mondiale dato dagli USA sarà superiore a quello della Cina; quello del Canada, maggiore di quello del Brasile. Anche un completo successo della Coppa del Mondo di Calcio 2014, non potrà modificare la realtà del ribilanciamento dell’economia globalizzata e del ridimensionamento delle realistiche prospettive dei paesi emergenti. Sarà un boccone amaro da digerire da parte della “brasilidade” e della sua persuasione che il Brasile sarà il “Paese del futuro”, come aveva sostenuto già nel 1941 Stefan Zweig, esaltando il meticciato brasiliano rispetto al razzismo hitleriano, al segregazionismo USA e ai vari tentativi d’integrazione multiculturale e di democrazia razziale.


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