Un conflitto deliberato fra la Cina e gli Stati Uniti appare del tutto improbabile. Non è comunque da escludere. Potrebbe scoppiare per errore o per escalation di un incidente, specie fra le forze navali dei due Paesi che si dilettano, nei Mari Cinesi Meridionale e Orientale, a provocazioni reciproche, tagliandosi la rotta o avvicinandosi a distanza di tiro.
LE DIFFERENZE CON LA GUERRA FREDDA
Oggettivamente, la situazione è molto più pericolosa di quella esistente fra gli USA e l’URSS durante la guerra fredda. Il confronto di allora era terrestre: Esistevano linee ben precise e inequivocabili, impossibili da superare per errore. Un incidente era improbabile. Nel sistema Asia-Pacifico, il confronto è invece navale e aereo. Equivoci ed errori sono più possibili. Non si sa come si comincia e meno ancora dove si va a finire.
LA DOTTRINA CINESE
Le due dottrine operative con cui USA e Cina si confrontano sono asimmetriche. Quella della Cina è denominata A2-AD (Anti Access – Area Denial). Essa tende a tenere lontani dal continente cinese, inclusi i mari periferici su cui Pechino rivendica la sovranità, i poderosi gruppi portaerei e anfibi, che conferiscono agli USA un’ineguagliata capacità di proiezione a terra del loro potere marittimo. Gli strumenti per realizzare tale strategia cinese sono soprattutto i numerosi sommergibili della Marina (PLAN), i missili balistici antinave, con gittata di un paio di migliaia di km e capacità di guerra cibernetica e anti-satellite, con cui la Cina intenderebbe degradare i moltiplicatori di potenza delle forze americane.
LE NUOVE DOTAZIONI DI PECHINO
Risulta che la Cina progetti di dotarsi entro il 2020 di tre gruppi portaerei. Essi dovrebbero contrastare nell’Oceano Indiano la superiorità oggi posseduta dalla Marina Indiana, sostenuta da quella USA. Tali gruppi portaerei si appoggerebbero alle installazioni della cosiddetta “collana di perle”. Si tratta di una serie di basi – formalmente mercantili – costruite dalla Cina dal Golfo del Bengala allo Sri Lanka al Mare Arabico e alle Seychelles con fondali profondi. Esse potrebbero essere in breve tempo dotate di difese attive e passive, e divenire basi militari vere e proprie, utilizzate per controllare le vie di comunicazione marittima verso ovest, tanto indispensabili al commercio cinese. Con “la collana di perle” Pechino vorrebbe anche rompere quello che percepisce come un accerchiamento da parte degli USA ai suoi danni, con la catena di alleanze che circondano la Cina e i suoi mari adiacenti.
LA STRATEGIA AMERICANA
Gli USA, dal canto loro, hanno adottato dal 2010 la c.d. AirSea Battle (ASB). Non si tratta di una battaglia, ma di una dottrina operativa aeronavale, intesa a neutralizzare l’A2 –AD cinese e a permettere la proiezione a terra della potenza aerea e aeronavale USA. Essa prevede prioritariamente la neutralizzazione dei missili antinave e della flotta, nonché a paralizzare le capacità cibernetiche e satellitari di Pechino, salvaguardando quelle americane. Tale strategia mira anche a imbottigliare le navi cinesi nel Mare Cinese Meridionale, bloccando lo Stretto della Malacca, che lo mette in comunicazione con l’Oceano Indiano.
LA DOPPIA CATENA DI ISOLE
Dal canto loro, l’accesso alle rotte del Pacifico è intercettato dalla “doppia catena di isole”. La prima si sviluppa da Okinawa-Arcipelago delle Ryukyu – a cui appartengono le isole Senkaku amministrate dal Giappone ma rivendicate dalla Cina – fino a Taiwan e alle Filippine, delimitando ad Est il Mar Cinese Orientale. La “seconda catena di isole” si estende la Giappone alla grande base aeronavale di Guam, la più grande del mondo, per raggiungere l’Australia. Da quanto detto, appare evidente come la possibilità della Cina di sfidare gli USA non sia contrastata solo dalla loro superiorità aeronavale e dal loro sistema di alleanze, ma anche dalla geografia. Quest’ultima impedisce il libero accesso della Cina agli oceani.
LA SICUREZZA DEGLI USA
Per poter eliminare tali catene, la Cina dovrebbe mettersi in condizioni di distruggere le forze navali americane e dei loro alleati. È un obiettivo quasi impossibile da raggiungere. Qualora la Cina intensificasse ancora il proprio sforzo di riarmo, provocherebbe reazioni ben superiori a quelle connesse con il Pivot on Asia del presidente Obama. Esso si è limitato allo schieramento a Singapore di quattro navi e a una modifica del centro di gravità delle forze americane. Era del 50% sia in Atlantico che nel Pacifico; sarà del 60% nel Pacifico e del 40% nell’Atlantico. Mi sembra che gli USA, certi della loro superiorità, abbiano preso con molta calma l’aumento della potenza militare cinese.