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Matrimonio, gay e cardinali. Dietro le quinte di Papa Francesco

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Non v’è azione di papa Francesco che non susciti grande interesse nei mass-media. Le cronache raccontano, i vaticanisti commentano, il popolo ascolta. Dai progressisti vengono molti elogi e speranze, dai conservatori alcuni mugugni e timori. Lo abbiamo visto ieri nei resoconti sulla nomina dei cardinali e sul battesimo dato a 32 bambini.

Dei 19 nuovi porporati, 3 hanno superato l’età per essere elettori del papa. Degli altri 16, gli europei sono 8 e 11 degli altri continenti. Gli italiani sono 4. Non è difficile capirne il perché. La Chiesa cattolica soffre un abbandono esplicito e ancor più una indifferenza soprattutto nel nostro continente. Le statistiche ci mostrano una popolazione europea sempre più lontana dalla frequenza ai sacramenti e ai riti, e anche dai precetti morali del cristianesimo. Continua un certo fideismo, evidente anche nell’entusiasmo per il papa e per i sacrari del miracoli (padre Pio, Medjugorje, etc). Il battesimo e il funerale vengono ancora chiesti largamente, ma i matrimoni civili pareggiano e anche oltrepassano quelli religiosi. L’insegnamento religioso nelle scuole batte il passo. E costumi come il divorzio, l’aborto, i matrimoni omosessuali sono ammessi anche da cristiani praticanti.

La religione, un tempo sistema forte di legittimazione di ogni atto dell’esistenza, si è fatta debole, confinata nel privato e nel tempo libero: una hobby, una eresia («libera scelta»), una scelta soggettiva e provvisoria. Dove ancora la scristianizzazione è meno presente è nelle chiese dei continenti non europei, anche se il totalitarismo comunista o islamico consentono pochi spazi; e c’è da prevedere che la diffusione della scienza e della tecnologia, unite ad un aumento del benessere, condurranno i continenti extraeuropei sulla stessa via (come avviene nell’Argentina di Bergoglio). Con la scelta dei nuovi cardinali, papa Francesco ha voluto riaffermare il carattere ecumenico, non eurocentrico, della Chiesa. E premiare il ruolo dei vescovi residenti rispetto agli operatori nella curia romana. Una linea enunciata dal papa sin dall’inizio del suo pontificato.

Il secondo gesto, ancora più commentato, è il battesimo di 32 bambini, fra i quali uno portato all’altare dai genitori sposati solo civilmente. Si è voluto leggere, nel gesto del papa, una apertura alle coppie civili ed ai divorziati risposati. Una interpretazione accettabile, purché si chiarisca cosa significa «apertura». Va detto che il costume di sempre della Chiesa è stato riconfermato dal Codice di Diritto Canonico, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1984: «Il battesimo deve essere chiesto dai genitori, i quali devono dare assicurazione che il bambino verrà educato nella religione cattolica» (par. 868). Non si parla di matrimonio religioso, tanto che viene concesso anche ai figli di donne non sposate o di genitori conviventi ma non sposati. Del resto i genitori del bimbo battezzato hanno detto: «Il matrimonio in chiesa, forse, lo faremo più in là».

Papa Francesco non si è distaccato dai precetti della Chiesa. Non ha messo in discussione la validità del solo matrimonio religioso, come ha sempre fatto anche quando era vescovo. E non ha pertanto «legalizzato» il matrimonio civile o le coppie conviventi. Ha solo detto che l’accoglimento nella fede con quel rito di iniziazione che è il battesimo non va negato a nessuno. E che bisogna essere «aperti» a tutte le coppie. Eppure una novità non manca. Perché sinora nessun papa precedente, né Montini o Wojtyla o Ratzinger, avevano fatto un gesto simile, pur ritenendolo lecito e doveroso? Perché papa Francesco non ha solo battezzato il figlio di due genitori che hanno rifiutato le nozze religiose (lo faceva spesso anche in Argentina), ma in un momento pubblico di forte diffusione massmediatica? Non è difficile capirlo: perché la strategia pastorale di Bergoglio è diversa dalla loro.

La religione, ha insegnato Durkheim, è tre cose: 1. credenze (dogmi); 2. pratiche (riti); 3. comunità morale (chiesa).

E il suo oggetto è il «Sacro», ossia una realtà diversa e separata dal mondo. Bergoglio non nega nulla di ciò, ma insiste soprattutto sulla fede e su Gesù: la sua strategia sospende e minimizza il richiamo alle vecchie categorie religiose di peccato, doveri, divieti, come pure sul diverso destino dei fedeli dopo la morte. È una strategia enunciata con lucidità e coerenza, nei termini di un «buonismo» religioso che privilegia amore, solidarietà, perdono e riconciliazione.

Si tratta di un fatto del tutto nuovo. Alla cui base c’è certamente la consapevolezza che i secoli recenti hanno prodotto una scristianizzazione costante e sinora inarrestabile. Alla quale occorre dare una risposta basata su: 1. una purificazione della Chiesa e dei suoi operatori; 2. un maggiore apertura al mondo attuale e un interesse per il bene anche materiale degli uomini. Bergoglio sa bene che questa strategia ha i suoi rischi: potrebbe anche divenire un secolarismo fideistico o una filantropia atea. Ma è anche convinto che, alla fine, sarà la fede a prevalere.

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