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L’Occidente allo specchio

bandiera rossa

In un immaginario novello libretto per un “Così fan tutti” oggi leggeremo … e la fede dell’Occidente, come l’Araba Fenice, dove sia nessun lo sa…

Il problema esiste, è evidente, ed è grave. Cosa resta dell’Occidente?

La mia generazione è stata cresciuta nella fede occidentale nella democrazia, nei diritti umani, nello sviluppo economico e sociale, e poi nella cooperazione internazionale, nella cultura e nel rispetto dell’ambiente. L’Occidente euro-americano era un posto sicuro, dal futuro certo, lineare, invincibile. Oggi ci sono due simulacri del glorioso passato –la Nato e l’Ue – che rappresentano in modo abbastanza sbiadito quella fede nell’Occidente che, come l’Araba Fenice, dove sia nessun lo sa…

Il mondo occidentale non esiste più. Lontani sono i tempi, che si celebrano proprio oggi, quando Vladimir Ilyich Lenin lasciava in eredità un Occidente socialista alternativo e complementare a quello incarnato dal silenzioso Calvin Coolidge che viveva le illusioni dell’Occidente “ruggente” (roaring twenties). Guardandomi attorno oggi vedo almeno tre Occidenti e più lontano, oltre le colonne d’Ercole, un nuovo mondo – post occidentale – che non va più in bicicletta ma sulla luna. Quando l’11 settembre 2013 il New York Time ha pubblicato un editoriale che spiegava, dal punto di vista di un autocrate, il presidente russo Vladimir Putin, i principi della democrazia nel mondo post occidentale, ho visto svanire il mondo antico.

Ed ecco che ad occhi chiusi vedo i tre Occidenti, due brutalmente realisti e l’altro romanticamente incantato. L’Occidente anglo-americano al quale è agganciata la periferia atlantica dell’Europa, che si concretizzerà in una grande zona di libero scambio con sfumature melodrammatiche vagamente dickensiane. L’Occidente eurasiatico che combina gli interessi di due kulturnationen – la Germania e la Russia – egemonizzando l’hertland in una tensione dell’anima che oscilla tra impulso creativo e autoritarismo. Infine, l’Occidente romanticamente incantato che, sognando la pace tra Roma e Bisanzio, aleggia in un mare non più nostrum, svanendo sulle ceneri fumanti dalla Palestina all’Anatolia.

Kiev brucia! Bangkok brucia! L’Occidente si specchia nel fuoco, morendo. All’apparenza le due capitali sono messe a ferro e fuoco da manifestanti che chiedono “libertà” in nome dell’Occidente. I due governi democraticamente eletti, ma autocratici nelle modalità esecutive, sono contestati violentemente da minoranze popolari mosse da semplici interessi economici di classe. È lo scontro di classe – tra le vecchie borghesie e i proletari alleati dell’apparato burocratico, e le nascenti classi medie imprenditoriali e urbane – che in nome della democrazia chiama l’Occidente a loro sostegno per sostituire i governanti con metodi da “consiglio rivoluzionario”. Come l’Ulisse incantato dalle sirene, l’Occidente risponde ai loro richiami romantici senza capire che quei governi, nonostante tutto, rappresentano comunque un argine contro la ferocia dell’autoritarismo degli interessi di classe. Dall’evoluzione di questi due conflitti dipende il futuro anche nostro. Dal conflitto in corso in Thailandia dipende il futuro dell’economia nell’intera Asia e quindi del pianeta, e da quello in Ucraina dipende il futuro dell’economia europea e russa.



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