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Transparency International e le Lobby in Europa

Finora il controllo delle lobby lo hanno fatto soprattutto gli enti no profit. Diciamo pure che non c’era alternativa. Latitanti i governi, poco credibili i lobbisti (quando scelgono di rendere trasparente la loro attività, il che non accade sempre), inesistenti i media (interessati ad altri aspetti della materia, quelli notiziabili), resta solamente il Terzo Settore. Volontari, attivisti e studiosi mobilitati per controllare l’attività lobbistica, diffondere le informazioni e, quando serve, denunciare il malaffare.

E’ un fenomeno relativamente recente. Le prime iniziative risalgono alla metà del decennio scorso, con uno scopo comune: sopperire alle carenze dei decisori pubblici nel garantire la trasparenza dell’attività lobbistica. Si possono citare, a titolo di esempio, l’italiana Openpolis (associazione no-profit che monitora l’attività legislativa e pubblica dati e informazioni sull’attività parlamentare), la francese Regards Citoyens, la tedesca Lobbyplag (creata da un gruppo di hackers tedeschi per denunciare gli europarlamentari che hanno difeso gli interessi delle imprese ICT nel dibattito sulla normativa Data Protection) e, infine, l’indiana I paid a Bribe, alla quale i cittadini indiani possono segnalare episodi di corruzione di pubblici ufficiali.

Diverso è il caso delle iniziative NoProfit che nascono nei regimi di total disclosure del lobbying, come quello statunitense e canadese. In questo caso lo scopo è raccogliere ed elaborare i dati messi a disposizione dal legislatore. Non si tratta, quindi, di colmare un deficit quanto, piuttosto, di arricchire le informazioni a disposizione e, ove presenti, individuare le criticità sulle quali sollecitare interventi correttivi da parte dei poteri pubblici. Tra i casi più noti negli Stati Uniti ci sono Maplight e Legistorm. La prima mostra la correlazione tra i finanziamenti ricevuti dai congressisti e le preferenze di voto espresse nella legislatura. La seconda traccia e riporta tutta l’attività dei membri del Congresso statunitense, incluse le dichiarazioni ai media e le attività collaterali in cui sono coinvolti.

Dal 2014 anche Transparency International ha avviato un progetto di monitoraggio dei gruppi di pressione in tutta Europa, coinvolgendo attivisti, accademici e lobbisti di diverse nazionalità (Qui il sito dell’iniziativa). Gli scopi sono nobili. Riformare il (pessimo) registro dei lobbisti che si trova in Europa (Qui la lettera aperta al Commissario europeo Sefcovic); riformare – e rinnovare – l’elenco di esperti chiamati a collaborare alla definizione delle nuove regole del lobbying (leggi Qui); e, soprattutto, spingere sugli Stati Membri. In due direzioni: per rinnovare le leggi dove ci sono ma non funzionano (vedi Francia e Germania) e introdurle dove non esistono (vedi Italia).

Il progetto di Transparency è puramente g-locale. Ha cioè una testa europea, cui fa capo il segretariato generale dell’associazione (con sede a Berlino) e tanti piedi quanti sono gli Stati coinvolti (non c’è ancora il plenum degli Stati membri, ma è un’obiettivo a cui stanno lavorando). E come coinvolgere al meglio gli Stati membri? Ovviamente movimentando chi, nei singoli Stati, ha voce in capitolo sul tema lobby. Nasceranno gruppi di esperti per ogni Stato, chiamati a collaborare alla stesura di policy papers, partecipare a convegni e intervenire nel dibattito pubblico.

è il primo tentativo di fare un controllo omogeneo, a tappeto e coordinato di cosa funziona e cosa non funziona nel lobbying europeo. Controllo in nome della trasparenza, del diritto (dei cittadini) di conoscere cosa fanno gli eletti. In bocca al lupo a Transparency allora. Ne avrà bisogno.

 

 

 

 

 


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