Il Libro Bianco Clima-Energia 2030 adottato dalla Commissione europea “rappresenta una preoccupante e pericolosa retromarcia rispetto agli impegni assunti finora dall’Europa per contenere il riscaldamento globale sotto i 2 °C. Gli obiettivi comunitari al 2030 proposti oggi -40% di riduzione delle emissioni di CO2 (rispetto al 1990) e l’aumento non vincolate, per i singoli Stati membri, al 27% di rinnovabili (ma vincolante per l’UE) purtroppo non consentono all’Europa di mettere in campo una forte e coerente azione climatica in grado di invertire la rotta”. Recita così il comunicato con cui Legambiente accoglie gli obiettivi UE 2030 annunciati oggi dalla Commissione (qui notizia e comunicazione ufficiale).
LE PRIORITA’ PER LEGAMBIENTE
Il livello di ambizione comunitario degli obiettivi climatici ed energetici, rimarca l’associazione, deve essere coerente con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 95% al 2050, in grado di contribuire a contenere il riscaldamento del pianeta almeno sotto alla soglia critica dei 2 °C. Per Legambiente servono obiettivi legalmente vincolanti sia per la riduzione delle emissioni , che per le rinnovabili e l’efficienza energetica. “Per contenere il surriscaldamento sotto i 2 °C ed evitare la catastrofe climatica, l’Unione Europea deve impegnarsi a ridurre almeno del 55% le emissioni interne entro il 2030 – dichiara il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – e contemporaneamente impegnarsi a raggiungere il 45% di energia rinnovabile e tagliare il consumo di energia del 40% per portare avanti una reale transizione verso un sistema energetico a zero emissioni di carbonio. Sono obiettivi che il nostro governo deve sostenere con forza – prosegue il presidente di Legambiente – per giocare da protagonista l’importante ruolo che è chiamato a svolgere nei prossimi mesi, a partire dal Consiglio Europeo del prossimo 21 marzo, e soprattutto con il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea”.
“Il processo verso un’economia europea a basse emissioni di carbonio – come evidenzia il rapporto sulla competitività dell’economia europea presentato dalla Commissione insieme al libro bianco Clima-Energia 2030 – può creare nuove opportunità economiche dal punto di vista dell’occupazione, dell’innovazione e dello sviluppo di tecnologie pulite. Una sfida che l’Europa e l’Italia non possono fallire – conclude Cogliati Dezza – e rispetto alla quale la posizione assunta dal Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, che insieme ai suoi colleghi tedesco, inglese, francese, olandese e spagnolo, ha chiesto formalmente all’Unione europea di fissare al 40% il taglio delle emissioni di gas climalteranti entro il 2030, ci pare un importante e positivo passo avanti. Mentre ci auguriamo che il ministro per lo Sviluppo economico Flavio Zanonato riveda, in base a quanto accade realmente, il suo punto di vista rispetto alla perdita di competitività delle imprese che egli attribuisce agli obiettivi sulle rinnovabili e sulla riduzione di CO2″.
LA DELUSIONE DI GREENPEACE
Molto critica anche Greenpeace che condivide gli obiettivi caldeggiati da Legambiente (-55% di CO2, 45% di rinnovabili e -40% sui consumi) e parla di “un deludente pacchetto di proposte su clima ed energia per il 2030 e i governi europei ora devono correggere queste proposte, aumentare le ambizioni europee e rilanciare così quella leadership sul clima e le energie pulite che l’Europa ha già dimostrato”.
Amare le parole di Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia: “le svendite di gennaio sono cominciate e le aziende energetiche fossili d’Europa, che si collocano nel cosiddetto ‘Gruppo Magritte’, hanno fatto un grande affare. Il piano della Commissione per il 2030 rischia di stroncare il mercato in piena espansione delle energie rinnovabili. È una visione miope, che costerà cara ai cittadini europei”.
LE PREOCCUPAZIONI DI CONFINDUSTRIA
Preoccupata per motivi completamente diversi Confindustria, secondo cui “unobiettivo europeo unilaterale vincolante di riduzione delle emissioni di CO2 del 40% al 2030 rischia di essere irrealistico e autolesionista” e di avere “gravi effetti sulla competitività dell’industria italiana ed europea, senza produrre i risultati sperati”.
Potrebbe, si legge nella nota “portare a un aumento del prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso tra il 15 e il 20%, incrementando ulteriormente il gap rispetto all’industria americana che oggi già paga l’energia oltre il 50% in meno dell’industria europea”. Inoltre l’applicazione ai soli Stati membri della UE implica “ulteriori, pesanti sforzi di riduzione delle emissioni da parte dell’industria, a fronte dell’indifferenza degli altri Paesi”. “La sfida ambientale va sostenuta, è una grande opportunità di crescita anche per la nostra industria, che è per altro all’avanguardia nei settori della tecnologia per l’efficienza energetica – conclude Confindustria – ma porre obiettivi vincolanti significherebbe tarpare le ali allo sviluppo della filiera tecnologica italiana dell’efficienza, costringendo all’uso di tecnologie non valide né sul piano economico né su quello ambientale”.